Donne di Crema: il ritratto di Tamara

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“Donne di Crema” continua il suo viaggio alla scoperta di tante nuove storie interessanti da ascoltare e raccontare. E’ la volta di Tamara, con cui ci incontriamo online per una bella chiacchierata.

L’incontro

E’ stato affascinante ascoltare la storia di Tamara perché mi ha “portata” con sé nei suoi viaggi attorno al mondo, raccontandomi aneddoti e storie di vita vissuta in maniera profonda e attenta nei confronti dell’altro.

Si definisce “Una zingara a cui piace partire anche se ama sempre far ritorno alle sue origini.”

Il ritratto di Tamara per il progetto Donne di Crema (C)Monica Monimix Antonelli
Il ritratto di Tamara per il progetto Donne di Crema (C)Monica Monimix Antonelli

La storia di Tamara

Ha viaggiato tanto, ha conosciuto persone di varie nazionalità e ciò le ha permesso di fare moltissime esperienze e di aprirsi all’altro, alla scoperta delle differenti culture e tradizioni, senza pregiudizi o paure.

Animo sensibile, grande studiosa, ha una grande capacità: quella di sapersi sempre mettere in gioco e sapersi reinventare. Fin dai tempi della scuola.

Il percorso di studi di Tamara, non è per niente scontato. Gli anni delle Scuole Superiori, la vedono frequentare il Liceo Scientifico per poi cambiare indirizzo e passare alla facoltà di Psicologia.

Il cambio è dato dal fatto di aver scoperto in se stessa una forte curiosità per la mente umana e le relazioni, passioni accentuate ancora di più leggendo il libro “L’interpretazione dei sogni” di Freud.

Psicologia e matematica

La sua mente matematica, che l’aveva spinta a frequentare lo Scientifico, non viene del tutto accantonata però, avendo scelto di frequentare la facoltà di Psicologia presso il San Raffaele di Milano, perché, mi spiega, che quella trattata in quell’Istituto è un tipo di psicologia più scientifica, orientata ai dati, con esami anche di statistica.

Gli anni dell’Università la vedono pendolare tra Crema e Milano, perché ha sempre preferito restare di base a Crema, per poter mantenere la sua vita sociale e coltivare i suoi legami affettivi.

Dopo la laurea, lavora per alcuni anni nel reparto di Oncologia all’Ospedale San Raffaele, e svolge anche un percorso di volontariato presso il reparto di neuropsichiatria infantile a Crema.

Una fase di burnout

Dopo alcuni anni, la vita le presenta il conto. Attraversa una fase di burnout* probabilmente dato dal fatto di aver lavorato per anni a stretto contatto con pazienti oncologici e il fine vita di molti di loro. Tutto ciò la porta a non farcela più a sostenere il peso di quella situazione.

[*Una condizione di stress, inserito in un contesto lavorativo, che determina un logorio psicofisico ed emotivo, con vissuti di demotivazione, di delusione e disinteresse con concrete conseguenze nella realtà lavorativa, personale e sociale dell’individuo. Fonte: https://www.stateofmind.it/tag/burnout/]

Si rende conto di non essere d’aiuto né per sé né per i suoi pazienti, e sapientemente decide di fermarsi.

Ricorda l’esatto momento in cui ha sentito di non farcela più.

Tempo prima, sua madre aveva subito un intervento per un tumore cerebrale e, nel momento in cui Tamara si ritrova ad esser affiancata ad una ragazza poco più che ventenne che a causa di un tumore cerebrale si ritrova a non poter parlare improvvisamente e una diagnosi senza speranza, le si riattivano ansie e angosce di quel periodo passato da poco.

Un grande cambiamento

Sa che non può continuare a vivere quella vita e prende una decisione netta. Affascinata dai racconti di alcuni amici che hanno vissuto in Australia, e la curiosità di scoprire una terra così lontana e per lei ancora sconosciuta, prende la decisione e, a fine ottobre, insieme al suo fidanzato (oggi marito) partono per otto mesi per Melbourne.

Mi racconta che ha sempre amato viaggiare con lo zaino in spalla, alla scoperta di nuove culture e nuovi luoghi. I soggiorni nei resort da turisti non fanno per lei, che al contrario, vuole calarsi completamente nella vita locale per assaporarne le tradizioni e conoscere le culture del posto.

Ha viaggiato parecchio nella sua vita, sia per lavoro che per piacere e in alcuni casi ha vissuto dei periodi all’estero, oltre all’Australia, ha vissuto anche ad Innsbruck ed è prossima alla partenza per l’Irlanda dove si fermerà qualche mese.

La vita in Australia

Si innamora di Melbourne, dello stile di vita e dell’ambiente. Mi racconta che la vita lì è molto tranquilla, le ricorda un po’ le città del nord Europa, sia per il clima che per la struttura e le usanze (per esempio la cena nel tardo pomeriggio 17.30/18 e i negozi e gli uffici che chiudevano prima rispetto che da noi).

Ha la possibilità di conoscere molte realtà diverse dalla sua. Condivide una casa col marito e con altri immigrati, di varie nazionalità (inglesi, irlandesi, scozzesi e un australiano) e anche nella città osserva le aree dedicate alle diverse culture.

Dai suoi racconti capisco che l’Australia le manca molto.

“Non esiste il posto perfetto. Ognuno ha il suo posto. Da viverci è diverso che da turista, ovviamente vivendoci vedi i lati negativi, come per esempio la difficoltà nell’approccio alla sanità.”

Tamara

Avendo vissuto là come immigrata, si è resa conto di cosa voglia dire essere immigrato. Nella propria Patria si danno per scontate tante cose, che scontate non sono. Nel proprio Paese tante cose sono più semplici anche a livello burocratico o sanitario.

“Abbiamo un’assistenza sanitaria, vai al Pronto Soccorso e vieni seguito, cosa che in America o Australia se non hai un’assicurazione non ti curano.

Ma anche il diritto allo studio per noi è scontato ma non è così all’estero. Se vuoi seguire l’Università da noi hai degli aiuti a livello economico in base al reddito, all’estero devi raggiungere delle borse di studio se vuoi proseguire con gli studi e poter sostenere le rette scolastiche.

Inoltre, a livello burocratico conosci la lingua e sai dove rivolgerti nel tuo Paese, all’estero ti scontri con le difficoltà della lingua e con iter burocratici totalmente differenti a quelli a cui sei abituato o non sai a che uffici rivolgerti.”

Tamara

L’incontro con l’altro

A livello umano si è portata a casa l’esperienza dell’incontro con l’altro. Ha visto la diversità tra le nazionalità, e la voglia di aiutarsi anche quando l’altro è diverso da noi, diversità manifestata non solo dalla cultura e dalle tradizioni differenti ma anche dalle difficoltà linguistiche.

“L’incontro con l’altro , l’appoggio con l’altro, che è quello che manca di più in questo periodo. Siamo umani e abbiamo bisogno di quel contatto.

Ci sono aspetti che ci accomunano anche se proveniamo da Paesi diversi e culture differenti, indipendentemente da lontananza e differenze.”

Tamara

Questo concetto lo ha visto con i suoi occhi durante una supplenza in una Scuola Materna, (dopo essersi ristabilita in Italia), dove due bambini molto piccoli, lui albanese, ma nato Italia e quindi capace di parlare bene italiano, lei nigeriana che non conosceva la lingua, se non pochissimo inglese. Si parlavano, si capivano e si facevano delle bellissime risate.

“La diversità viene meno, ci si trova e ci permette di conoscere l’altro. Lo capisci soprattutto nelle difficoltà, quando si sta bene forse non ci si pensa molto.

Non aver paura dell’altro è un’altra grande cosa. Non bisogna aver paura di aprirsi al diverso. Dall’incontro col diverso ci si arricchisce, si impara.”

Tamara

Il rientro in Italia

Dopo otto mesi in Australia, suo marito trova lavoro nel suo campo (informatico) a Milano e arriva per loro il momento di rientrare in Italia.

Il ritorno per Tamara vuol dire tante lacrime. Non è per niente facile per lei tornare. Quando è atterrata a Malpensa per un attimo ha pensato di ritornare indietro.

Decide di iscriversi alla Facoltà di Informatica a Crema, riprendendo gli studi fatti al Liceo Scientifico dove aveva seguito un piano orientato all’Informatica.

Ha sempre avuto la passione per l’analisi dei dati, già ai tempi dei lavori da psicologa in cui doveva gestire i database dei pazienti. Il passaggio a Informatica è stato quindi un passaggio per lei abbastanza naturale.

Un nuovo inizio

Ha avuto il coraggio di rimettersi in gioco, nonostante le difficoltà di gestire una casa, un lavoro e tornare a studiare ad un’età ben maggiore rispetto agli altri studenti, che simpaticamente la chiamano “zia”.

Per lei è un valore aggiunto aver la possibilità di essere in un ambiente più giovane, che la mette di fronte a persone con esperienze diverse da quelle che ha vissuto lei e questo le apre nuovi mondi e le permette di imparare cose nuove. Questo è il filo conduttore della sua vita: conoscere l’altro, per conoscere se stessa, che è anche la natura della psicologia.

Sceglie l’informatica, anche perché è un settore che le permette di viaggiare, cosa che la psicologia non le consente in quanto ben più legata alla lingua e alla cultura dei pazienti.

“Per poterli aiutare devi conoscere il loro vissuto ma anche la cultura a cui appartengono. Perdi tantissime cose se non conosci la loro cultura.”

Lo capisce anche dai racconti di alcune colleghe che lavorano con i migranti di cui alcuni provenienti dalle tribù dell’Africa, e in queste situazioni, se non conosci la loro cultura diventa difficile poterli aiutare realmente perché è difficile comprendere fino in fondo cose totalmente diverse dalla propria cultura e dal proprio vissuto.

Rimettersi sempre in gioco

Una grande capacità di Tamara è quella di mettersi sempre in gioco, provare e vivere l’esperienza.

“Alcune esperienze sono belle, altre difficili, però aiutano a costruirsi il proprio bagaglio.”

Tamara

Questa sua voglia di buttarsi la porta ad iscriversi, anni dopo, anche alla Magistrale a Trento per conseguire una laurea dedicata a informatici psicologi. Ha un approccio di analisi dati dal punto di vista cognitivo, come per esempio una ricerca realizzata per analizzare i post pubblicati sui social network, per prevenire eventuali episodi di suicidio, al fine di contribuire a sviluppare qualcosa di preventivo.

Dimostrando come due mondi così apparentemente sconnessi tra loro come l’ambiente psicologico e quello informatico, possano invece essere collegati ed essere molto utili se ben sfruttati.

Il passaggio all’insegnamento

Lavora per diverse aziende, ma ad un certo punto, per motivi di salute si vede costretta a dover interrompere alcune collaborazioni in essere, ed è questo il momento in cui Francesca, sua grande amica, le suggerisce di provare a entrare nel mondo della scuola, soprattutto per la vicinanza a casa.

Da un paio d’anni ha iniziato così a dedicarsi alla formazione nelle scuole, ambiente che da sempre la affascina e la stimola.

Si informa e, come prima esperienza, le viene assegnata una supplenza in una prima elementare. Con poco preavviso, si presenta e le viene assegnato un piccolo gruppo di sei bambini, molto problematici. E’ un battesimo del fuoco.

Una grande preparazione per lei, essendosi trovata a portare avanti quell’esperienza, studiando nei weekend, dandosi molto da fare e poter offrire il meglio a questi bambini.

Successivamente inizia a tenere corsi di informatica per i ragazzi delle Scuole Medie dove si occupa di progetti sul cyber bullismo.

Attenta alla tematica del bullismo

Ama occuparsi di bullismo e cyber bullismo, perché lo ha vissuto sulla sua pelle. Ai tempi delle scuole medie era spesso a casa perché molto cagionevole di salute e soffrendo d’asma doveva sempre avere con sé lo spray da spruzzarsi alla bisogna e questo era già motivo di scherno. Faceva fatica a mantenere i legami con i compagni per via dei lunghi periodi di assenza, a parte con un paio di loro con cui, dopo trent’anni sono ancora molto legati tanto da essere quasi di famiglia.

Le piace la parte di formazione del suo lavoro perché le permette anche di osservare l’approccio dei bambini nei confronti del computer e si rende conto che per quanto nativi digitali e molto pratici con telefoni e tablet, hanno problemi ad approcciarsi ai computer, anche solo per l’usabilità del mezzo totalmente differente che li spiazza.

Reinventarsi continuamente

Nella sua vita, Tamara si è sempre dovuta reinventare e si è sempre messa in gioco. Fin dai primi lavori in psicologia e psichiatria e poi in ogni altro ambito lavorativo in cui si è trovata. Il suo primo pensiero è sempre quello di non farcela e pensare di esser andata male ai colloqui. Proprio per il fatto di non sentirsi mai pronta, si impegna moltissimo, studiando e approfondendo ogni tematica.

Ciò che ben riassume la sua personalità credo sia il sogno che aveva da bambina. A quei tempi, i suoi zii abitavano accanto ad una pompa di benzina, dove si fermavano sempre i camionisti a far rifornimento. Li osservava affascinata perché li vedeva come viaggiatori che potevano girare il mondo e già a quei tempi il viaggio era nella sua testa. Aveva una visione idealizzata del lavoro del camionista. E da lì le era venuta l’idea che da grande avrebbe voluto fare la camionista per poter girare il mondo.

Il viaggio per Tamara è visto come l’incontro con l’altro, per poterlo conoscere. Non aver pregiudizi. Aprirsi con l’altro. L’altro può offrirci qualcosa anche e soprattutto se è diverso. Non bisogna partire prevenuti.

Riguardo a Crema

Nata a Crema, ha vissuto anche in altri paesi, e ciò le ha fatto apprezzare ancora di più Crema, per la sua giusta dimensione: non quella di una grande città ma nemmeno quella di un paesino. Vi è molto legata, avendoci vissuto e per aver frequentato il Liceo Scientifico, con i dolci ricordi dell’adolescenza.

Per lei Crema è un po’ misteriosa da scoprire. Una cosa che l’ha sempre affascinata sono le vie laterali, i cortili interni, che forse dovrebbero essere più valorizzati. Crema ha tanto da scoprire, tanti angoli e tanti aspetti che sono grandi potenzialità.

Un ritorno a Crema, durante i suoi viaggi, lo vede sempre. “Le nostre origini sono parte di noi. Il tagliare i ponti è un po’ come una fuga, uno scappare da se stessi.”

Non vede mai il taglio netto: “Siamo sempre in eterno cambiamento”, vede il ritorno anche come un tornare sui propri passi e vedere a distanza di tempo come si è cambiati, come le esperienze fatte nel frattempo ci hanno cambiati. È un modo per fermarsi un attimo e prenderne consapevolezza.

Una cosa che le manca quando è via sono le cose quotidiane, come il semplice giro in centro, mangiarsi un gelato, vedere gli amici, prendere la bici per andare a bere un caffè in piazza.

Uno scorcio dei Giardini Pubblici a Crema (Cr), il luogo scelto da Tamara per il suo ritratto per il progetto “Donne di Crema” (C)Monica Monimix Antonelli
Uno scorcio dei Giardini Pubblici a Crema (Cr), il luogo scelto da Tamara per il suo ritratto per il progetto “Donne di Crema” (C)Monica Monimix Antonelli

Tamara e la fotografia

Della fotografia ama la capacità di saper cogliere i dettagli, apprezza chi sa coglierli, perché si rende conto che sulla parte creativa non è portata per niente e la colpisce molto vedere negli altri questi aspetti, trasmettere cose che altri non vedono. Le piacerebbe poter aver più capacità artistica tra cui il fotografare, ma si rende conto che per lei sia un limite. Nelle foto non ama mai apparire, infatti nelle foto di gruppo preferisce mettersi in secondo piano dietro ad altri.

Non si piace mai in foto, vede quei dettagli di sé che non ama. Fa molta fatica a farsi fotografare.

Per partecipare al progetto “Donne di Crema”

Se sei di Crema (sei nata qui, ci hai vissuto per molti anni, e/o ci vivi tuttora) e ti va di raccontarmi qualcosa di te e un tuo pensiero su Crema, scrivimi un’email moni@monimix.com con una tua foto allegata.

Ti contatterò per inviarti tutti i dettagli.

Se il progetto “Donne di Crema” ti interessa, ne parlo più diffusamente in questo articolo

Ti riassumo qui le informazioni più immediate per capire di cosa si tratta.

Il progetto “Donne di Crema”

“Donne di Crema” vuole essere un progetto fotografico che mostri le donne di una piccola cittadina, ma che ha al suo interno tanti ottimi elementi, a livello lavorativo e personale.

Perché voglio raccontare le Donne di Crema mostrando il loro contributo nella società e la loro ricchezza a livello umano.

Saranno ritratti all’aperto, al naturale, così come la persona si presenta. Ogni donna che partecipa può scegliere il luogo in cui ambientare il suo ritratto. Unica regola deve essere di Crema (esserci nata, averci vissuto per molti anni, e/o viverci tutt’ora).

Far scegliere alla persona ritratta il luogo in cui scattare il suo ritratto è un modo per farla sentire ancora di più a suo agio.

Chiederò a ciascuna donna di raccontarmi la propria storia e se ha un pensiero legato a Crema. In questo modo potrò sia raccontare qualcosa delle partecipanti, sia ricostruire tramite loro, ciò che Crema rappresenta.

La sessione di ritratto dura un’ora, durante la quale ci conosceremo facendo quattro chiacchiere e poi realizzeremo il suo ritratto.

In questo caso, non è richiesto nessun contributo. Il ritratto è gratuito. In cambio chiedo l’autorizzazione a pubblicare il ritratto per il progetto, e per chi lo desidera, l’iscrizione alla lista di contatti a cui inviare la newsletter.

Se sei di Crema (ci sei nata, ci hai vissuto, e/o ci vivi tutt’ora) e se hai voglia di farti ritrarre, scrivimi: moni@monimix.com specificando “Donne di Crema”.


Se vuoi partecipare al progetto “Donne di Crema”, ma ti senti un po’ a disagio davanti alla fotocamera, ho scritto una breve guida per aiutarti a vivere più serenamente il momento degli scatti.

Per vedere i ritratti delle Donne di Crema che hanno già partecipato, puoi visitare questa pagina.


Prima di andare, ti chiedo un’ultima cortesia. Se l’articolo ti è piaciuto, lasciami un tuo like o un commento, oppure condividilo, mi farebbe molto piacere! Grazie!

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