“Donne di Crema” presenta oggi la storia di Elisabetta, una donna che non si è mai fermata davanti alle difficoltà che ha incontrato sul suo cammino, forte del mantra che in casa sua veniva ripetuto spesso “Se si deve fare, si fa”.
L’incontro
Ciò che mi piace di lei è questa capacità di andare avanti, affrontare le cose di petto senza perdersi in chiacchiere o dietro mille pensieri. Non mi nasconde che farsi fotografare la imbarazza molto e non si sente per niente a suo agio, ma ha deciso di partecipare comunque perché ritiene importante il messaggio dietro al progetto e quindi vuole andare oltre il suo imbarazzo, e prenderne parte per sostenerlo.
Elisabetta è milanese di nascita, ma cremasca d’adozione da parecchi anni ormai. Da bambina ha avuto la fortuna di avere una casa di famiglia nella campagna tra Liguria e Piemonte, passando gli autunni e gli inverni a Milano e le sue estati in mezzo alla natura, in un paese molto piccolo, vivendo così realtà molto diverse.
La Milano della sua infanzia era molto diversa dalla metropoli di oggi perché era fatta da tanti piccoli paesi, dove si viveva il mercato rionale, i giardini di zona, i compagni di classe abitavano tutti vicini e i negozi erano tutti nella stessa aerea.
Fa parte della generazione di Milano in cui ancora c’era il rapporto di fiducia col negoziante della sua zona, dove ci si conosceva tutti, caratteristiche che ha poi ritrovato a Crema molti anni dopo e che tutt’ora vive.
Conosce la disparità nella società
Ha visto con i suoi occhi la disparità tra la popolazione: una fetta molto ampia di persone che arrivavano dall’emigrazione italiana con famiglie del proletariato molto povero e dall’altro la Milano che si poteva permettere di stare bene.
Ciò le ha fatto conoscere la società, toccando con mano la realtà, sentendosi fortunata per la tranquillità che viveva in famiglia a differenza di altre che non potevano permettersi la stessa sicurezza economica.
La scelta delle Scuole Superiori la vede orientata al Liceo Classico perché la sua idea era quella di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza, affascinata dal concetto dell’avvocatura, anche se poi crescendo ha capito non essere così in linea con le sue corde.
La sua passione per l’avvocatura le nasce nell’infanzia, grazie ad un vecchio film (“La costola di Adamo” del 1948 *ndr), in cui i due protagonisti sono due avvocati, sposati nella vita privata, che si ritrovano a discutere in una causa in tribunale. La affascina il connubio tra il sentire comune da un lato e il dissentire opposto mentre sono in tribunale in veste di controparti.
La cosa la incuriosisce e appassiona molto. Crescendo continua ad esser affascinata da quel mondo.
La facoltà di Giurisprudenza
Si iscrive a Giurisprudenza, che per lei è stata una facoltà che l’ha interessata in tutti i suoi aspetti, anche se, col passare del tempo, si è resa conto che odiava dare gli esami e il sentirsi giudicata, ed era il suo più grande problema. Molto probabilmente era una reazione data da insicurezze che si portava dentro e la parte degli esami orali era per lei la parte più impegnativa.
Mi confessa che tutt’ora non sopporta di esser messa alla prova e dover dimostrare qualcosa.
Elisabetta ha avuto un percorso di studi improntati al penalistico, capendo fin da subito che non le interessava l’avvocatura bensì la magistratura, in particolare la sfera legata alla tutela dei minori, dopo aver visto alcune situazioni critiche in tale ambito.
Mi racconta che alcuni suoi compagni delle Scuole Medie vivevano delle situazioni di grande fragilità e criticità e ciò l’ha portata ad essere interessata a come poter risolvere una serie di problematiche in cui si è imbattuta da spettatrice.
Un anno tutto per sé
Al termine dell’ultimo esame in Università, sposa il suo attuale marito e poi si concede un anno sabbatico in cui prendersi cura di sé.
Scopre in suo marito una persona capace di viziarla, cosa a cui non era assolutamente abituata perché nella sua famiglia d’origine vigeva la regola del “Si deve” come una lunga lista di compiti da svolgere relativi alla sfera dei propri doveri, non contemplando la sfera del piacere.
Per lei, quindi, così ligia alle regole e sempre impegnata nei suoi doveri, prendersi quell’anno sabbatico è stato fantastico e un’esperienza che le ha dato talmente tanto che ne ha beneficiato per molti anni a seguire. E’ certa che a volte fermarsi e prendersi del tempo per pensare a cosa fare e ritagliarsi del tempo per se stessi sia a volte necessario.
Il praticantato in uno studio notarile
Al termine del suo anno sabbatico, inizia a cercare uno studio dove andare a fare pratica e incappa in un colloquio con un notaio, nonostante non fosse l’ambito per cui era più preparata. Si informa e si prepara al colloquio e viene presa per il praticantato.
Lavora in uno dei più antichi studi milanesi con quattro notai associati, che lavoravano in maniera autonoma; ciò le ha permesso di ottenere una grande visione di quello che è il notariato, riuscendo a strutturarsi molto nella professione, che scopre piacerle molto, per cui decide di proseguire per quella strada abbandonando l’idea di magistratura.
Poco prima del traguardo dei due anni di pratica, viene bandito un concorso per diventare notaio, ma essendo necessari due anni di pratica, non può rientrarvi ed è costretta a svolgere altri due anni in quello studio. Col senno di poi si rende conto che ciò che a quei tempi le era sembrata una sfortuna, si è poi rivelata una opportunità positiva perché ha avuto la possibilità di accumulare ancora più esperienza, superando subito il concorso indetto successivamente.
La sua idea era quella di fare il magistrato per i minori andando anche in posti sperduti, se necessario, mettendosi al servizio dello Stato. Non si sarebbe fatta problemi se l’avessero mandata a Palermo o in qualsiasi altro posto lontano da casa, perché la sua idea era quella di fare una professione al servizio della comunità.
Una figura al servizio delle persone
Questa visione della vita professionale non è facilmente compatibile con la vita privata, anche perché a quei tempi riteneva suo marito molto legato a Milano. Facendo pratica nello studio dei notai si rende conto che è un lavoro che le si addice molto e si sposa perfettamente con la visione che aveva del magistrato, e cioè di una figura al servizio delle persone.
Le chiedo di raccontarmi qualcosa di più della sua professione, per capire meglio il suo mondo e la sua visione. Il suo compito, come notaio, mi racconta, è quello di
“scrivere in maniera giuridicamente corretta ciò che le parti vogliono, in modo che siano tutelate al massimo nei loro interessi. Questo richiede una dedizione e una capacità di ascolto di ciò che sono le esigenze delle persone e delle loro necessità. E questo deve tenere conto anche delle loro criticità e fragilità, soprattutto nei casi in cui una delle due parti sia meno tutelata e meno preparata rispetto all’altra. A garanzia delle parti e della collettività”
Elisabetta
E questo è l’aspetto del suo lavoro che si addice alla sua personalità.
Ha scelto di fare il notaio non di città ma di paese e si sente molto fortunata perché è riuscita a instaurare un buon rapporto con le persone che la circondano, e le piace che la gente la saluta per strada mentre va al lavoro, o che nei giorni di mercato passino in studio a salutarla. Sono gesti semplici, genuini, che solo in un contesto come quello di paese sono possibili, a differenza della grande città.
Serve empatia verso le persone
E’ un lavoro per cui serve avere empatia nei confronti delle persone che si rivolgono a lei, soprattutto in particolari circostanze in cui richiedono il suo intervento.
“Le persone vanno accolte con gentilezza per farle sentire a loro agio, nonostante la mia figura sia comunque istituzionale. E’ fondamentale sapersi mettere a disposizione di chi ne ha bisogno.”
Elisabetta
Per questo motivo, da alcuni anni, svolge un servizio in Comune dove risponde alle domande dei cittadini che hanno bisogno.
“Sapere che c’è una figura istituzionale a cui puoi fare una domanda che non sai a chi fare, è molto importante; è un servizio di supporto alla cittadinanza.”
“Noi notai siamo i risolutori dei problemi di tutti i giorni” afferma, e ciò è di stimolo costante nell’affrontare la sua professione ogni giorno.
Elisabetta
L’inizio dell’attività e la nascita della figlia
Quando riceve l’incarico di avviare il suo studio è anche incinta di sua figlia, tanto che nel giro di un mese apre la sua attività e dà alla luce la bambina.
Trova nel marito un valido aiuto. Insieme vengono a Crema e mentre Elisabetta è nell’ufficio del presidente dell’ordine per sbrigare pratiche necessarie per l’inizio attività, suo marito passeggiando nel centro di Crema se ne innamora immediatamente, riscoprendola molto simile alla Milano di quando era bambino.
Da qui nasce l’idea di trasferirsi nella cittadina. Nel giro di quattro mesi da quando riceve l’incarico, molti cambiamenti avvengono nella sua e nella loro vita: l’inizio del lavoro, un mese dopo la nascita della figlia e altri due mesi dopo il trasferimento a Crema.
Il trasferimento a Crema
Il trasferimento a Crema per lei significa poter avviare la sua professione potendo gestire anche sua figlia, senza dover perder tempo negli spostamenti che sarebbero stati necessari se fossero rimasti a vivere a Milano. Suo marito decide di occuparsi della loro bambina a tempo pieno ed Elisabetta ricorda con piacere le pause pranzo in cui tornava a casa, data la breve distanza tra casa e ufficio, la sua famiglia la aspettava in centro e insieme rientravano a casa facendo una passeggiata insieme.
L’inizio dell’asilo e poi successivamente delle scuole, per la loro bambina, significa per loro, la possibilità di crearsi tante nuove amicizie con i genitori degli altri bambini, e inserirsi al meglio nella comunità.
La creazione della loro Associazione culturale
Man mano che la figlia cresce, lei e il marito iniziano a sentire che qualcosa manca loro e nel 2008 fondano a Crema un’Associazione culturale (Il circolo delle Muse), che si occupa principalmente di storia e lirica.
Il loro progetto si svolge su due fronti: da un lato la gestione del museo “Il Dday in miniatura” (unico museo in Italia dedicato allo sbarco in Normandia); dall’altro riportare la lirica a Crema, perché dopo che è bruciato il teatro negli anni ’30 non c’è più stata a livello professionale, allestendo appositamente degli spettacoli di qualità con giovanissimi cantanti professionisti, normalmente scelti con audizioni internazionali, che preparano loro stessi.
Hanno organizzato moltissimi incontri di musica, lirica e non, e da circa 8 anni portano l’opera a Crema.
Ciò che li ha spinti a voler creare questa Associazione è stata anche la mancanza del teatro, cui erano soliti andare quando vivevano a Milano, in cui fruire soprattutto dell’opera lirica, di cui suo marito è un grandissimo appassionato, passione poi condivisa con la moglie.
Sentire una mancanza e colmarla
“Quando facciamo le cose non abbiamo mezze misure. Ci siamo resi conto che mancava un caffè lirico e lo abbiamo creato noi.”
Elisabetta
La sera in cui hanno costituito l’Associazione sono a cena fuori, ed è lì che nasce in loro l’idea di cosa fare, perché fino a quel momento non avevano idee strutturate. La cameriera del ristorante racconta loro che la sera prima si era tenuta una serata con un caffè letterario e in quel preciso istante hanno un’illuminazione: in città esistevano vari caffè, da quello letterario a quello politico a quello filosofico, ma mancava un caffè lirico.
Dal momento in cui hanno realizzato questo fatto, ancor prima di finire la cena avevano già abbozzato tutta la prima stagione del caffè lirico.
Nel corso degli anni hanno avuto grandi soddisfazioni sia da parte del pubblico sia da parte dei cantanti che hanno partecipato, come nel caso di Eleonora, già ritratta per il progetto “Donne di Crema”, che stanno vedendo sbocciare come professionista di alto livello.
La fondazione di un Soroptimist club per le donne
A questo grande progetto si affianca per Elisabetta un’altra importante iniziativa nata dieci anni fa: la fondazione di un Soroptimist club a Crema: un’associazione internazionale di donne impegnate nel lavoro ad alto livello che si occupa di avanzamento della condizione femminile e di tutela dei diritti umani.
In questo gruppo tutte di donne, professioniste e lavoratrici qualificate, ognuna ha effettuato scelte diverse ma tutte si sono trovate a percorrere gli stessi passi: conciliare una carriera, dei figli, il lavoro, la formazione personale. E tutte con la convinzione che sia necessario dare voce alle donne per permettere loro di autodeterminarsi facendo emergere al meglio i loro talenti.
È una bellissima esperienza che le ha permesso di creare forti legami di amicizia con altre socie del club, sia a Crema che in tutta Italia. È orgogliosa dei progetti di cui si occupano perché sono concreti, e le chiedo di raccontarmi qualcosa a riguardo.
“Abbiamo da subito sottoscritto il protocollo con la Rete Con-Tatto; il primo progetto realizzato insieme è stato quello di formare le forze dell’ordine e gli operatori del settore riguardo la violenza assistita (la violenza che il minore subisce quando assiste alla violenza tra i genitori, molto spesso del padre sulla madre); abbiamo costruito una “Stanza tutta per sé” presso la Caserma dei Carabinieri dedicata alle donne che possono trovare un ambiente confortevole per sporgere denuncia: è già di per sé un momento traumatico, poterlo fare in una stanza accogliente può aiutarle a non guardare con ulteriore timore quel momento. Ancora, abbiamo istituito una borsa di studio per ragazze per sostenerle nei loro percorsi scolastici o professionali.”
Elisabetta
Non si lascia fermare dalle difficoltà
Elisabetta, non è una donna che si lascia fermare dalle difficoltà che incontra. Quando all’università faticava a dare gli esami orali, non si è lasciata abbattere, portando a termine il percorso di studi per inseguire il suo obiettivo. Così come quando si è ritrovata tagliata fuori dal concorso nazionale, ha continuato a svolgere il suo praticantato per altri due anni per poi superare brillantemente il concorso alla successiva occasione.
O quando si è trovata a dover gestire l’inizio dell’attività in un nuovo contesto e contemporaneamente la fine della gravidanza e il parto imminente. Questo suo lato mi dice che lo ha ereditato dal lato femminile della sua famiglia che le ha inculcato il motto “Si deve fare, si fa”.
Lo ha fatto suo anche se questo è stato un insegnamento difficile da portare avanti, perché non contempla il fatto che una persona possa non farcela col il conseguente carico di responsabilità che ciò comporta ed eventuali insicurezze che potrebbe generare. E di questo se ne è resa conto da adulta.
Riguardo a Crema
Fin da subito ha riconosciuto in Crema un ottimo ambiente in cui stare con la sua bambina per la sua dimensione a portata di famiglia. Dovendo gestire la figlia neonata e il lavoro, ammette che i primi tempi non se la sia goduta molto, aldilà della passeggiata nei momenti di svago, per mancanza di tempo.
Avendo lo studio fuori Crema ha potuto vivere in maniera più rilassata l’ambiente cittadino, perché poteva avere uno stacco netto tra vita lavorativa e personale. Ritiene Crema molto attiva perché vengono fatte moltissime iniziative, anche se si rende conto che non essendo cremasca doc a volte la sensazione è di esser un po’ tagliata fuori come se “Ciò che Crema fa, lo fa per circoli ristretti”.
Questo rende non sempre facile entrare in realtà che possono interessare, nonostante abbiano sempre trovato un grande appoggio da parte dell’amministrazione Comunale nell’organizzazione degli eventi della loro Associazione.
Elisabetta e la fotografia
Elisabetta ammette di non aver mai avuto occasioni di fare pratica con la fotografia, perché quando era bambina le macchine analogiche prevedevano la messa a fuoco manuale e, non avendo il senso delle distanza, non era per lei facile fotografare e, in famiglia, le veniva rimarcata la sua incapacità nel fotografare.
Non le viene naturale fotografare perché non è stata educata a farlo. Quando sua figlia era piccola ha provato anche a prendere una piccola fotocamera, ma anche in quelle occasioni si dimenticava di scattare perché presa ad assaporare l’evento
Non ha mai amato particolarmente farsi fotografare e si rende conto di non sapersi porre in maniera naturale perché la imbarazza. La considera una cosa molto intima, soprattutto nel senso della riproducibilità della foto perché non resta solo tra fotografo e persona ritratta, ma quella è una traccia su cui non può avere il controllo e questo va a toccare delle insicurezze insite in lei, dandole il senso di scoprirsi troppo davanti ad una macchina fotografica.
Ma …”Si deve, si fa”.
Per partecipare al progetto “Donne di Crema”
Se sei di Crema (sei nata qui, ci hai vissuto per molti anni, e/o ci vivi tuttora) e ti va di raccontarmi qualcosa di te e un tuo pensiero su Crema, scrivimi un’email moni@monimix.com con una tua foto allegata.
Ti contatterò per inviarti tutti i dettagli.
Se il progetto “Donne di Crema” ti interessa, ne parlo più diffusamente in questo articolo
Ti riassumo qui le informazioni più immediate per capire di cosa si tratta.
Il progetto “Donne di Crema”
“Donne di Crema” vuole essere un progetto fotografico che mostri le donne di una piccola cittadina, ma che ha al suo interno tanti ottimi elementi, a livello lavorativo e personale.
Perché voglio raccontare le Donne di Crema mostrando il loro contributo nella società e la loro ricchezza a livello umano.
Saranno ritratti all’aperto, al naturale, così come la persona si presenta. Ogni donna che partecipa può scegliere il luogo in cui ambientare il suo ritratto. Unica regola deve essere di Crema (esserci nata, averci vissuto per molti anni, e/o viverci tutt’ora).
Far scegliere alla persona ritratta il luogo in cui scattare il suo ritratto è un modo per farla sentire ancora di più a suo agio.
Chiederò a ciascuna donna di raccontarmi la propria storia e se ha un pensiero legato a Crema. In questo modo potrò sia raccontare qualcosa delle partecipanti, sia ricostruire tramite loro, ciò che Crema rappresenta.
La sessione di ritratto dura un’ora, durante la quale ci conosceremo facendo quattro chiacchiere e poi realizzeremo il suo ritratto.
In questo caso, non è richiesto nessun contributo. Il ritratto è gratuito. In cambio chiedo l’autorizzazione a pubblicare il ritratto per il progetto, e per chi lo desidera, l’iscrizione alla lista di contatti a cui inviare la newsletter.
Se sei di Crema (ci sei nata, ci hai vissuto, e/o ci vivi tutt’ora) e se hai voglia di farti ritrarre, scrivimi: moni@monimix.com specificando “Donne di Crema”.
Se vuoi partecipare al progetto “Donne di Crema”, ma ti senti un po’ a disagio davanti alla fotocamera, ho scritto una breve guida per aiutarti a vivere più serenamente il momento degli scatti.
Per vedere i ritratti delle Donne di Crema che hanno già partecipato, puoi visitare questa pagina.
Prima di andare, ti chiedo un’ultima cortesia. Se l’articolo ti è piaciuto, lasciami un tuo like o un commento, oppure condividilo, mi farebbe molto piacere! Grazie!