Fotografia di ritratto: “Lo specchio vuoto” di Ferdinando Scianna

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Tempo fa ho letto un interessante libro del fotografo Ferdinando Scianna “Lo specchio vuoto” sulla fotografia di ritratto.

E’ un libretto piccolo, scorrevole, ma ricco di spunti utili per i fotografi, per gli appassionati di fotografia, ma anche per chiunque si interroghi sul significato dell’immagine e la nostra identità.

Fotografia di ritratto: "Lo specchio vuoto" di Ferdinando Scianna
“Lo specchio vuoto” di Ferdinando Scianna

Fotografia di ritratto

In questo libro ho ritrovato molti punti in comune con la pratica quotidiana del ritratto, come per esempio quando scrive:

“Appena proponi a qualcuno di fargli un ritratto, quasi tutti mettono subito le mani avanti con una civetteria che mal nasconde una certa angoscia: “Guardi che io vengo malissimo in fotografia. Non c’è niente da fare, proprio non sono fotogenico. Spero che lei faccia il miracolo, magari se mi coglie di sorpresa, ma mi pare molto difficile. Finora non è mai successo!”

Ferdinando Scianna

Se leggi il mio blog da un po’ di tempo, avrai notato quanto questa situazione sia ripetuta nei miei articoli. E’ una pratica diffusa quella del mettere le mani avanti nel momento in cui ci si approccia ad un fotografo.

Nell’attimo stesso in cui si alza la macchina fotografica davanti al viso della persona da ritrarre, ecco che in quel preciso momento si alzano le barriere. Barriere date dall’insicurezza e dal timore di non riuscir bene nel ritratto o nel non piacersi nello scatto realizzato.

Prosegue Scianna:

La faccenda, poi, si complica nel momento in cui le fotografie vengono mostrate. Facce disgustate e risentite precedono l’inevitabile: “Mio Dio, sono venuta uno schifo!”. O il più frequente e rancoroso: “Mi hai fatto venire uno schifo!”.

Ferdinando Scianna

Non ha mezzi termini, Scianna, ma ben descrive la situazione in cui può succedere di incappare. Quando fotografo qualcuno metto il massimo impegno per ritrarlo al suo meglio, ma se nonostante i miei sforzi la persona non si piace, è motivo di frustrazione.

Col tempo ho preso atto del fatto che a “botta calda” è più difficile piacersi, ma se il ritratto viene visto dopo del tempo, molto spesso la stessa immagine verrà apprezzata. Trovo conferma di questo mio pensiero anche nelle parole di Scianna.

In contrapposizione a ciò che afferma Barthes nel suo libro “La camera chiara”, la fotografia per Scianna non mostra “ciò che è  stato”, ma “ciò che non è più”.

Per questo motivo, per lui, le fotografie non fermano il tempo. Per lui le fotografie accumulano il tempo, non restano immobili, cambiano.

Cambiano perché noi cambiamo e le vediamo in maniera diversa ogni volta che le guardiamo. Ecco perché se “provate a guardare una vostra fotografia che non vi piaceva, a distanza di anni, ci sono molto probabilità che ora vi piacereste.

Ferdinando Scianna
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In un ritratto non siamo soli, ma c’è anche il fotografo

Prosegue Scianna:

“Il rituale con cui ci mostriamo all’obiettivo è sempre ambiguo, perché in gioco non c’è solo la macchina fotografica: c’è anche il fotografo, l’arbitrio delle sue scelte etiche ed estetiche, lo stato d’animo della persona fotografata in quell’istante, le storie che entrambi hanno alle spalle.”

Ferdinando Scianna

Quanto incide la presenza di un fotografo sul set? Come discernere le due parti in gioco? Quanto è se stessa la persona ritratta davanti ad un fotografo che può modificare la situazione, interpretandola con le sue scelte stilistiche e con la sua sensibilità? Quanto influiscono i sentimenti provati dalle parti in quel preciso istante?

Sono molti gli interrogativi che sorgono nel momento in cui si affronta il discorso della fotografia di ritratto, e leggere le parole di grandi autori come Scianna, ne fanno nascere di ulteriori, ma offrono anche delle riposte possibili.

Ti riporto un altro stralcio del libro, molto interessante:

“Sappiamo che l’idea che gli altri si fanno di noi passa attraverso l’immagine, e proprio per questa ragione vorremmo imporre l’immagine che di noi ci costruiamo noi stessi.

Ferdinando Scianna

Il nostro rifiuto dell’immagine di noi stessi di fronte ad una foto che ci è stata fatta da un fotografo rivela uno strascico del rancore per la ferita che la fotografia ha inflitto al nostro amor proprio, e così piuttosto che ammettere che assomigliamo a quella frazione di secondo della nostra vita congelata in un’immagine nella quale non ci riconosciamo, preferiamo pensare che il fotografo che l’ha scattata sia un cane.”

Ferdinando Scianna

Fa l’esempio delle cabine in cui realizzare le foto tessera in cui siamo soli nell’atto dello scatto e non vi è alcuna interpretazione esterna di noi stessi:

“Nella solitudine del gabbiotto per autoritratti salta fuori con tutta evidenza il problema dell’apparente neutralità dell’occhio della macchina fotografica. Ti senti responsabile tu, non puoi accusare nessuno di essere un cane di fotografo.”

Ferdinando Scianna

Ma quindi qual è il fotografo migliore? Quale deve essere il ruolo del fotografo? Deve annullarsi o deve interpretare? E’ quello che registra la realtà davanti ai suoi occhi senza modificare nulla o gli è consentito migliorare ciò che vede?

A tal proposito riporta il pensiero di sua nonna che ben racchiude una visione attuale della fotografia di ritratto.

“Per mia nonna, il miglior fotografo del suo paese, Bagheria, era quello che le ritoccava meglio le rughe, quello che le faceva un ritratto che assomigliasse a come lei sperava di essere. Non quello che la mostrava tale e quale.”

Ferdinando Scianna
Scianna si interroga sul significato stesso della parola Fotografia:

“Scrittura di luce o con la luce?”

Se il significato fosse “Scrittura di luce” allora noi fotografi siamo dei ricettori, siamo degli interpreti, dei lettori. E’ il mondo che, con penna di luce, scrive sé stesso mediante le onde luminose che lo colpiscono e che riflette. Questo è il significato che lui assegna alla fotografia.

Se invece interpretiamo la parola come “scrittura con la luce”, allora vuol dire che usiamo la luce per scrivere, siamo scrittori, ci poniamo sul versante dell’arte, dell’arbitrio, sublime se si vuole, ma pur sempre arbitrio.

Ferdinando Scianna

La delicata questione di come cambio nel momento in cui mi pongo davanti ad un obiettivo e automaticamente “mi metto in posa”, è veicolata tramite la citazione di Roland Barthes e il suo libro “La camera chiara” in cui afferma:

“Io sono contemporaneamente quello che io credo di essere, quello che vorrei si credesse che sono, e quello che il fotografo crede che io sia.”

Roland Barthes

Molte interpretazioni di uno stesso soggetto entrano in gioco nel momento in cui ci approcciamo alla fotografia di ritratto. Ecco perché ritengo questa tipologia di foto un continuo stimolo nella ricerca, non solo stilistica, ma anche e soprattutto dei meccanismi psicologici che la coinvolgono.

Ho molte domande a cui dar risposta, ma la ricerca è continua e costante. Ogni persona che passa davanti al mio obiettivo è un’utile testimonianza di come viene vissuto quell’attimo e un aiuto nell’approfondire sempre di più la questione.

I libri come questo di Scianna non fanno altro che portare ad un livello ancora più alto lo studio del tema e le innumerevoli domande che gli ruotano attorno. E proprio per questo sono stimolanti e vanno letti più volte a distanza di tempo per far sì che ci si possa essere un utile confronto con ciò che pensavamo tempo addietro e ciò che pensiamo oggi dopo aver studiato e fatto ulteriore esperienza sul campo.

Parlare di ritratto oggi vuol dire affrontare anche il discorso legato alla pratica dei selfie. In quel caso la figura del fotografo esterno a noi viene eliminato, siamo noi gli artefici dello scatto e al tempo stesso i soggetti ripresi.

Questo il commento di Scianna a proposito dei selfie:

“Per riuscire ad ottenere un ritratto in cui “quello che vorrei si credesse che sono” coincida con “quello che io credo di essere” bisogna eliminare il fotografo. Ecco la molla dell’autoritratto, la molla del selfie.

Ma se la propria vita ha bisogno dell’autoscatto per certificarsi di esistere è perché porta con sé un dubbio sulla propria esistenza.”

Ferdinando Scianna

Conclude con una nota amara:

“Il vuoto da cui nasce l’ossessione non viene riempito dall’immagine, ma anzi le immagini lo rimandano indietro, moltiplicano il vuoto, lo fanno proliferare, un buco nero che rischia di inghiottirci.“

Ferdinando Scianna

Sia che tua sia un appassionato di fotografia e vuoi approfondire sempre di più l’argomento, o un fotografo professionista, ti consiglio di acquistare “Lo specchio vuoto” di Ferdinando Scianna.

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