Donne di Crema: il ritratto di Marta

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Donne di Crema è ormai agli ultimi incontri. Tanta gioia per il traguardo vicino, ma anche un velo di malinconia per un percorso così intenso che volge al termine. Un bilancio positivo, tante le donne incredibili incontrate, tante le storie emozionanti e toccanti ascoltate. Incontri che mi hanno insegnato tanto, e che continuano a farlo. Come la storia di Marta.

L’incontro

Le origini di Marta sono molto intrecciate con la città di Crema, tanto che la sua vita per i primi anni, fino all’adolescenza, la vedono muoversi in vari contesti ma sempre tutti nella stessa area: quella che ruota attorno alla chiesa di S. Giacomo.

“La mia vita si sviluppava tra la casa dei miei genitori sul Campo di Marte, la parrocchia di S. Giacomo e il suo oratorio, le Scuole Medie Civerchio, il Liceo Artistico in via Patrini: la mia vita era tutta in una bolla in cui si stava bene.”

Marta
Il ritratto di Marta per il progetto Donne di Crema (C)Monica Monimix Antonelli
Il ritratto di Marta per il progetto Donne di Crema (C)Monica Monimix Antonelli

La storia di Marta

Ha sempre avuto un forte senso di appartenenza col suo quartiere e grazie anche al fatto che la sua famiglia è sempre stata molto aperta, attiva ed accogliente sentiva in sé di appartenere ad una realtà più ampia rispetto alla sua sola famiglia.

Questo aspetto ha influito in lei facendola sentire sempre al sicuro e protetta nel suo quartiere e quindi nella sua città. Il rovescio della medaglia era il pensiero che nulla di brutto le sarebbe mai potuto accadere.

È stata una bambina molto sognatrice, creativa, amava disegnare e inventare storie. Ha avuto un’infanzia leggera, spensierata, grazie anche alla sua famiglia che ha saputo creare attorno a lei questo clima di apertura e di condivisione con le altre persone attorno a loro.

Esperienze di condivisione

I suoi genitori le hanno fatto fare, fin da piccola, delle esperienze molto importanti basate sulla condivisione e sull’idea che al di fuori della sua “bolla” protetta c’era molto di più, tra cui la povertà e la sofferenza.

Da bambina, partecipa con i suoi genitori ad alcuni campi familiari organizzati dalla parrocchia di S. Giacomo durante le estati e conosce la realtà dei ragazzi con disabilità, mentre poi da adolescente, continua a prestare il suo aiuto, partecipando ai campi estivi, insieme alle sue amiche, tra cui Barbara.

“Dedicavamo parte delle nostre vacanze a stare con questi ragazzi. Sono state esperienze che mi hanno toccata profondamente nell’animo e mi hanno formata come persona. Credo che le scelte professionali che sono arrivate molto tempo dopo, siano partite proprio dai semi gettati in quegli anni.”

Marta

Conserva bei ricordi delle Scuole Elementari e delle Scuole Superiori al Liceo Artistico, dove coltiva rapporti di amicizia molto profondi che durano tutt’ora.

Nonostante i dubbi, le incertezze e le insicurezze, tipiche dell’adolescenza, riguarda con tenerezza a quegli anni. Ricorda che provava già a quei tempi un senso di inquietudine e di ricerca, ma grazie al contesto positivo e stimolante in cui ha avuto la fortuna di nascere, è riuscita a crescere e maturare, riuscendo ad affrontare e superare le difficoltà adolescenziali.

Il volontariato e gli studi

Al termine della Maturità, insieme a Barbara, si dedica per un anno al volontariato femminile, abitando in una Casa Famiglia della Parrocchia di S. Giacomo dove devono prendersi cura di tre ragazze con disabilità. È un’esperienza molto forte per lei, al termine del quale decide di iscriversi alla Facoltà di Scienze dell’Educazione.

Si laurea e inizia a lavorare come educatrice per un paio di mesi, ma capisce che non è la strada per lei, perché avendo già fatto per anni la volontaria, anche in Africa e Brasile con i bambini, si rende conto di aver già dato tanto in quel senso e sente di aver bisogno di fare altro.

Cambiare strada

A quel punto, a venticinque anni, decide di cambiare strada iscrivendosi ad un Master in Management dei servizi sociali e da qui inizia a lavorare come coordinatrice di servizi di grandi cooperative nell’area del lodigiano e a trent’anni si iscrive alla Facoltà di Psicologia.

Si laurea psicologa e frequenta la scuola di psicoterapia diventando psicoterapeuta che era il sogno della sua vita e che è il suo lavoro attuale.

“Dopo la prima laurea vedevo questo obiettivo un po’ troppo difficile per me, un sogno irrealizzabile. Ma devo ringraziare quella parte di me, che ad un certo punto ha deciso di riaprire quel cassetto e di buttarsi per realizzare quel mio sogno.”

Marta

La decisione di aprire un Centro Antiviolenza

Trent’anni sono un’età per lei significativa, perché non solo si rimette a studiare per inseguire e realizzare il suo sogno, ma è anche il momento in cui decide di aprire un Centro Antiviolenza a Lodi.

Negli anni precedenti si era avvicinata al Centro Antiviolenza di Crema, come volontaria, ma lavorando a tempo pieno a Lodi conosceva molto quella realtà in cui si era resa conto che non esisteva ancora un Centro Antiviolenza.

Inizia a porsi delle domande sul perché non esistesse e se avrebbe avuto senso crearlo e nel mentre chiede informazioni sulla parte burocratica agli organi di competenza. Riceve molto sostegno ed adesioni e questo la porta a scrivere un bando per la creazione del Centro.

Riesce nel suo intento e circa una dozzina di anni fa, insieme ad una sua collega, aprono il centro Antiviolenza di Lodi che decidono di chiamare “La metà di niente”.

Da dove è nata la decisione di aprire il Centro

Nel momento in cui ha deciso di aprire questo Centro ha riflettuto molto sul perché di questo suo desiderio. Questo la riporta agli anni della scuola di Psicoterapia in cui aveva lavorato sui “copioni familiari che arrivano dalle generazioni prima di te”.

Capisce che la sua volontà di aprire il Centro è basata su due aspetti: uno che la riguarda in prima persona, perché da adolescente era stata vittima di stalking quando ancora non si parlava di questo fenomeno e non esisteva una legge che regolasse il fenomeno. A quei tempi non aveva capito la gravità della cosa perché viveva sicura nella sua “bolla”, e fortunatamente quella situazione non si era mai spinta oltre l’invio di messaggi o di appostamenti.

Il secondo aspetto è stato un lavoro transgenerazionale* alla scuola di Psicoterapia in cui ha riletto e ri-scoperto la storia di una sua parente del passato che aveva rischiato di esser uccisa dal marito e altre di donne della famiglia avevano subito la prevaricazione dei mariti.

[*Trasmissione intergenerazionale delle dinamiche familiari. Ci sono vari strumenti nella psicoterapia sistemica che aiutano a vedere la propria vita e le proprie scelte dentro una visione più allargata, dentro il proprio genogramma che è fatto dalla propria famiglia di origine e dalle generazioni precedenti. Le loro scelte, le cose successe, i traumi, i segreti, le cose che non si dicono, tornano nella vita attuale in modo più o meno consapevole.”]

“Ciò che è successo di traumatico alle persone del nostro passato può riemergere, arrivando fino a noi. Attraverso il lavoro transgenerazionale ho capito che c’erano parti che io sentivo inconsciamente, che arrivavano direttamente  dalle donne del mio passato. Ho sempre avuto una sensibilità molto forte e fino ad allora inspiegabile, riguardo a queste tematiche.”

Marta

È da qui che inizia tutto il suo percorso professionale.

Progetti per far conoscere tematiche importanti

Ai tempi della tesi in Psicologia, aveva scelto come argomento la violenza assistita, un argomento di cui a quei tempi si parlava pochissimo. Marta, dal canto suo, si è sempre spesa molto nello scrivere e ideare progetti pensati per i bambini vittime di violenza assistita (bambini che quotidianamente assistono alle violenze che subisce la madre).

Progetti che in tutti gli anni a seguire ha portato, insieme alle sue colleghe, nelle scuole del lodigiano. Per far conoscere il fenomeno della violenza assistita, di violenza di genere, della lotta agli stereotipi, parlando anche di rispetto, con l’intento di formare migliaia di studenti in modo attivo. In particolar modo le bambine e le ragazze insegnando loro concetti come l’empowerment e l’autodeterminazione femminile. 

Ciò che amava di questa parte del suo lavoro era, quando in seguito ai loro interventi, le ragazze/i chiamavano il centro antiviolenza chiedendo aiuto, riconoscendo che stavano vivendo situazioni di violenza di cui non erano consapevoli o per le quali non sapevano l’esistenza di servizi specifici.

“Erano segnali che i ragazzi e le ragazze iniziavano a prendere consapevolezza di ciò che vivevano ed è un passaggio fondamentale perché la consapevolezza è uno strumento fondamentale.”

Marta

L’importanza della consapevolezza di sé

È a questo punto che  mi spiega molto bene la tematica e l’importanza della consapevolezza.

“Essere consapevoli di sé e del perché si fanno le cose vuol dire avere in mano uno strumento. Più io mi fermo e rifletto riguardo a come sto, mi connetto con me stessa e capisco cosa mi sta succedendo, il perché ho fatto quella cosa, perché un’altra mi ha fatto male, più sono aderente a me stessa. 

Spesso quello che vedo, come psicologa, ma anche quando lavoravo al Centro, è che le persone non sanno bene perché fanno delle azioni. Non sanno cosa c’è dietro, la spinta che le porta ad entrare o rimanere in una relazione tossica, nel tradire, nel cambiare lavoro, non sanno codificare malessere che sentono.

Molto spesso si fanno delle scelte senza fermarsi a riflettere sul perché le si fanno. Spesso si ripropongono dinamiche disfunzionali, copioni sbagliati senza nemmeno accorgersene. La capacità di fermarsi, ascoltarsi, leggere se stessi, dare un nome a ciò che si sente è fondamentale per vivere in modo consapevole la propria vita.”

Marta

“La consapevolezza è un percorso che si apprende, non è scontata. Non bisogna aver paura di ascoltarsi, di fermarsi, di capire i fattori che ci procurano delusioni ripetute o scoprire cosa c’è dietro ai meccanismi che ci bloccano nelle scelte. Farlo permette di scoprire qualcosa di se stessi, di andare oltre, di cambiare.”

Marta

Leggersi dentro

È un percorso che andrebbe fatto con un terapeuta per essere maggiormente efficace. È grazie ad uno sguardo esterno e capace che si possono tradurre e leggere le dinamiche interne ed esterne che generano dolore, comprendere il perché della sofferenza, del vuoto, delle paure. Dare un senso a quel vuoto, dargli una forma e un significato. La terapia risponde al bisogno di colmarlo, comprenderlo. Fornisce al paziente gli strumenti per ricostruire il senso delle sue esperienze, il valore delle sue emozioni, il significato della propria storia. Questo produce il cambiamento.

I cambiamenti sono difficilissimi da compiere e richiedono coraggio perché l’essere umano è portato a rimanere nella propria zona di confort e quindi anche se sta male in una situazione vi rimane.

La decisione di cambiare ancora strada

In tutti gli anni passati al Centro hanno accolto migliaia di donne e bambini, vittime di violenza. Seppur orgogliosa dei risultati ottenuti, ad un certo punto capisce di aver dato tantissimo. Dentro di sé inizia a sentire il bisogno di staccare per dedicarsi pienamente alla parte clinica del suo lavoro, ad essere  psicoterapeuta, che è ciò che più ama fare.

“Sentivo che avevo bisogno di ricaricare le energie, dopo un percorso così lungo ed impegnativo. Volevo recuperare energie per fare anche altro. La mia parte di attivismo va avanti e sono certa che troverò altre nuove forme, ma sentivo che nel Centro si doveva chiudere un capitolo e così, con sofferenza da una parte, ma anche con serenità, ho preso la decisione di andarmene.”

Marta

La sua esperienza da responsabile del Centro si conclude a dicembre 2021 e torna a Crema, dove nel frattempo aveva aperto uno studio di psicoterapia insieme al suo compagno, anch’egli terapeuta.

La creazione della sua famiglia

La decade tra i trenta e i quarant’anni, segna per Marta un periodo ricco di esperienze e novità. È in quegli anni che apre e gestisce il centro, ma sono anche gli anni in cui conosce il suo compagno, Marco, con cui inizia a convivere e con cui creano la loro famiglia, allietata dalla nascita dei loro due bambini, Marcello e Margherita.

Queste sono le cose che l’hanno segnata e trasformata di più come donna. L’essere mamma le ha permesso di essere più ancorata a se stessa e alla sua vita, le ha insegnato a vedere le sue priorità in maniera diversa. Per quanto il lavoro e l’auto realizzazione per lei fossero sempre stati importante, nel momento in cui diventa mamma, si impone orari lavorativi che le permettano di poter trascorrere del tempo con i suoi bambini.

“Non voglio perdere nulla della vita dei miei figli, il tempo vola e loro crescono in fretta. Per questo mi sono imposta di non finire di lavorare oltre una certa ora del pomeriggio, in modo tale da tornare da loro e godermeli. Non è facile tenere insieme la parte ambiziosa legata al lavoro, ai miei sogni, ai miei obiettivi, con la vita famigliare.”

Marta

Vivere il presente

Per una mamma che lavora non è facile riuscire a conciliare tutto. Marta dal canto suo ha cercato di trovare un equilibrio e la sua formula è quella di vivere completamente il momento presente che sta vivendo. Mentre è al lavoro si concentra sui suoi pazienti senza farsi distrarre da altri pensieri. Quando è a casa con la sua famiglia, vuole essere pienamente con loro, eliminando le distrazioni come il telefono, ma anche le preoccupazioni.

“Mi sono resa conto che prima avevo sempre la testa altrove, distratta dai tanti pensieri che affollavano la mia mente. Da quando ho imparato ad essere pienamente dove sono, sento che la qualità che dò alle aree della mia vita è vera perché sono lì pienamente. Questa per me è stata una grande conquista.”

Marta

In cerca di risposte

Ha sempre sentito dentro di sé di essere alla ricerca di risposte. Voleva capire, non voleva fermarsi ma continuare ad andare avanti, ponendosi sempre obiettivi e stimoli nuovi, fin da piccola. Si è sempre sentita in movimento, e la sua è sempre stata una ricerca che ha spaziato tanto passando dall’arte, alla religione, alla poesia, dalla letteratura alla psicologia.

È stato un modo per capire cosa succedeva dentro di sé. Quello che la faceva soffrire fino all’adolescenza era il non capire ciò che la faceva stare male, i momenti di vuoto e di solitudine che sentiva e che non riusciva a tradurre in parole. Parte da qui il suo approccio alla psicologia, per capire meglio ciò che aveva dentro.

Col tempo è riuscita a trovare le sue risposte e ora ciò che la sta aiutando è la pratica della mindfulness, il vivere bene il presente, mandando via i pensieri negativi concentrandosi sul bello che la circonda.

“La felicità è una scelta. È una frase che ripeto spesso ai miei pazienti, ma al tempo stesso ripeto a me stessa perché ci credo molto. Noi scegliamo di essere felici, possiamo scegliere di essere felici. Possono capitarmi le cose peggiori nella vita, ma io posso scegliere l’atteggiamento con cui affrontarle.”

Marta

Riguardo a Crema

Per Marta, essere cresciuta in una cittadina come Crema le ha dato, fin da piccola e per tutta l’adolescenza, un senso di appartenenza e protezione, facendola sentire al sicuro, in una “bolla” come lo ha definito lei.

Ama la bellezza di Crema, e del suo centro storico, per lei è un po’ come un confetto. Ne apprezza le ridotte dimensioni in cui tutto è vicino e raggiungibile sia a piedi che in bicicletta.

Vorrebbe però, fosse una città più inclusiva e attenta nei confronti dei bambini. Mancano secondo lei, maggiori servizi per i bambini, perché scarseggiano i luoghi dove poterli far giocare e divertire. Da quando è mamma si rende conto ancora di più di queste mancanze. Ritiene molto grave il fatto che nei locali pubblici spesso manchino i fasciatoi dove poter cambiare i neonati al bisogno o spazi per le mamme per allattare o scaldare il biberon.

La fontana di Piazza Rimembranze a Crema (Cr), il luogo scelto da Marta per il suo ritratto per il progetto “Donne di Crema” (C)Monica Monimix Antonelli
La fontana di Piazza Rimembranze a Crema (Cr), il luogo scelto da Marta per il suo ritratto per il progetto “Donne di Crema” (C)Monica Monimix Antonelli

Marta e la fotografia

Marta davanti all’obiettivo fotografico si sente molto in imbarazzo, non ama essere al centro dell’attenzione di qualcuno. Forse anche per il lavoro che ha sempre svolto che l’ha sempre vista dall’altro lato, e si rende conto che in quei momenti in cui è lei ad essere davanti alla fotocamera, esce la sua parte più timida e riservata.

Negli ultimi anni tende poi a focalizzarsi sul fatto che la fotografia mette l’accento sul tempo che passa e vede nella sua immagine ritratta sia il suo imbarazzo che i primi segni del tempo.

Non ha mai avuto tanto la passione per la fotografia, preferendo vivere i momenti più che distrarsi per scattare una fotografia, individuando nel mezzo fotografico una sorta di allontanamento dalla situazione vissuta.


Il progetto “Donne di Crema”

“Donne di Crema” : 100 donne di una cittadina raccontano le loro storie, per scoprire e mostrare chi sono le donne di oggi.

I ritratti di Donne di Crema rappresentano donne contemporanee, che col loro contributo aiutano a costruire giorno dopo giorno la realtà locale cittadina, e al contempo la società moderna, portando la loro ricchezza a livello umano e il loro impegno professionale e personale.

Impegnate a far fronte a pregiudizi, disuguaglianze e a difficoltà che la vita presenta loro, mostrano la loro forza di carattere nell’affrontare battaglie da cui escono ogni volta sempre più forti e sicure di sé, riuscendo a mantenere il sorriso sulle labbra, e la voglia di aiutare chi sta loro accanto.


Per vedere i ritratti delle Donne di Crema che hanno già partecipato, puoi visitare questa pagina.

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