“Donne di Crema” ha vissuto varie fasi nell’arco di un anno. Stop forzato per il lockdown 2020, una ripresa nell’estate per poi un nuovo stop altalenante nell’inverno e primavera. Sfiancante è dire poco, ma ciò non mi ferma, perchè ho chiaro il mio obiettivo.
Vuoi partecipare al progetto “Donne di Crema”? Scrivimi: moni@monimix.com
L’incontro
La voglia di lamentarsi sarebbe stata tanta, ma non sarebbe servita a nulla, quindi la nuova veste trovata, e cioè quella delle chiacchierate online funziona parecchio e mi fa scoprire donne incredibili, che, anche se a distanza, sanno trasmettermi tutte le loro emozioni nel raccontarsi.
Così è il caso di Francesca, con cui, fin dai primi minuti si crea un’ottima sintonia.
La storia di Francesca
La storia di Francesca inizia in una famiglia di agricoltori in piena campagna. Ci tiene a partire da qui a raccontarmi di sé, perché questo è un elemento molto importante per la sua storia più recente.
Fin da ragazzina, Francesca ha le idee chiare ed è molto testarda, caratteristiche che la portano a tredici anni ha scegliere il Liceo Artistico, contro il parere dei genitori che l’avrebbero voluta vedere intraprendere una strada più “concreta” come l’Istituto di Agraria per proseguire il lavoro di famiglia. Francesca riesce a spuntarla ponendo i suoi genitori davanti all’aut aut: “O l’Artistico o niente!”
Si iscrive al Liceo Artistico a Cremona (a Crema non era ancora arrivato) e inizia la sua vita da pendolare, passando fuori casa la maggior parte del tempo.
Ricorda gli anni del Liceo come un periodo bellissimo, una scuola che le ha dato tanto sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista umano, dove ha saputo creare molti legami.
Per contro, sua madre, donna dal carattere molto schivo, non amava avere molta gente intorno, per questo motivo Francesca non frequenta amici al di fuori del tempo passato a scuola. Quel tempo lo impiega studiando e saziando la sua forte curiosità di sapere. Tutto questo la porta a diplomarsi a pieni voti.
La scelta dell’Università
Al termine della Maturità, arriva per lei il momento della scelta di quale strada intraprendere e ancora una volta si trova in disaccordo con la famiglia che la vorrebbe vedere ad Architettura, vista come facoltà che l’avrebbe portata ad un futuro concreto, oppure Scenografia, nel momento in cui aveva comunicato loro la volontà di andare a Brera. Ma ancora una volta Francesca segue il suo istinto e i suoi desideri e sceglie l’esatto opposto: Accademia di Brera, indirizzo Pittura.
La sua tenacia la porta a seguire la sua strada e questo per lei vuol dire trasferirsi a Milano, dove, dopo una breve parentesi di convivenza con un’altra ragazza, sceglie di andare a vivere da sola.
Quando mi parla degli anni milanesi, e di Brera in particolare, sento tutta la sua emozione e tutta la gioia che ha caratterizzato quegli anni. Me la immagino studentessa immersa in quell’ambiente creativo e dai suoi racconti mi sembra quasi di percepire quell’atmosfera.
Quegli anni per lei equivalgono a un’immersione totale nella vita dell’Accademia. Frequenta i corsi durante il giorno e si imbuca ai corsi serali di copia dal vero con la modella perché, affascinata dallo studio del corpo umano. Ricorda che metteva talmente tanta foga nel disegno che un suo docente entrando in aula le fece notare che si sentiva solo lei, tanto era il rumore prodotto dalla sua matita e dai suoi gesti, come se “volessi entrare nel foglio”, mi dice.
I primi schiaffi dalla realtà
Le sue giornate sono vissute totalmente nell’arte e nello studio. Eccelle negli esami e il suo cammino la porta con ottimi risultati alla tesi. E’ qui dove Francesca incontra il primo grosso ostacolo. All’esame di pittura, l’ultimo appena prima della tesi, riceve il primo schiaffo dalla realtà. Un docente le dice una frase maschilista e retrograda che per lei è mortificante: “Sei una donna, devi restare a casa a fare figli”.
Nonostante il malumore provocato da questo giudizio sprezzante, prosegue per la sua strada, ma incappa in un altro problema. Ad un mese dalla laurea inizia a non sentirsi in grado di poter discutere la tesi davanti alla commissione, per via della sua timidezza e insicurezza. Questo la porta a bloccarsi e a darsi malata per poter rimandare la discussione, perché in questo modo avrebbe potuto esser inserita in un altro elenco che avrebbe discusso la tesi solo davanti ad un paio di docenti, tra cui uno che già conosceva.
Nonostante la battuta di arresto, si laurea con lode, e questo le fa raggiungere un ottimo traguardo essendo la prima studentessa a laurearsi con tale risultato, dopo ben sedici anni.
Scelte di vita
Durante l’ultimo anno di studi inizia a frequentare un corso di oreficeria e contemporaneamente inizia a lavorare con il designer cremasco Beppe Riboli, che si occupa di interventi decorativi di locali. Francesca ha l’occasione di poter iniziare a collaborare con lui e a lavorare sul campo.
E’ durante uno di questi lavori che conosce quello che poi diventerà il suo fidanzato per otto anni. E’ il proprietario di uno dei locali in cui Francesca deve realizzare una decorazione. Lui è un milanese che vuole lasciare la città per trasferirsi in campagna. Francesca sull’onda dell’emozione si lascia convincere e lascia la sua tanto amata Milano, così viva culturalmente e in cui si era calata perfettamente, per tornare a vivere dai suoi genitori in campagna. Per lei vuol dire tornare indietro, riprendere le vecchie abitudini da cui aveva voluto tanto allontanarsi.
A distanza di anni si rende conto di quanto fosse stata sbagliata quella scelta, ma ai quei tempi le era sembrata l’unica scelta possibile, porre l’amore davanti a se stessa.
Inizia a lavorare anche nel locale del suo fidanzato, in veste di barista, alla sera. E’ qui che la sua timidezza inizia a esser mascherata, portandola a recitare un ruolo ben diverso da ciò che è lei.
La storia d’amore pian piano inizia a soffocarla, si rende conto che stando con lui si sta lentamente spegnendo, non ha più stimoli culturali o artistici.
Le conseguenze del non seguire ciò che sentiva dentro di sé
Mi confessa che nella sua vita, per un lungo periodo che va dai venticinque anni ai quarantacinque, è come se avesse un buco temporale. In questo lasso di tempo ha fatto scelte di cui non è stata particolarmente felice, perché non ha seguito ciò che sentiva dentro di sé realmente, non si è ascoltata a fondo, ma ha seguito degli stereotipi che l’hanno portata a vivere una vita che non la soddisfaceva a pieno.
In quegli anni, durante una trasferta nell’entroterra delle Marche scopre per caso l’indicazione del Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli), una scuola fondata da Arnaldo Pomodoro, dove ogni anno si svolgeva un corso di formazione di alto livello per la lavorazione artistica dei metalli.
Resta affascinata da essa ma poi rientrando a casa torna alla sua vita e per un po’ non ci pensa più, finché un giorno riceve un’email in cui viene pubblicizzata l’apertura delle iscrizioni di quel corso di formazione.
Decidere di tentare
Ricorda la trasferta il giorno prima del test di ammissione, a ridosso del Ferragosto, imbottigliata in autostrada. Un viaggio estenuante nell’entroterra marchigiano. Arrivata a destinazione, alla locanda in cui doveva soggiornare, la accoglie la proprietaria al nono mese di gravidanza che fino alle tre di notte le chiede di non lasciarla sola perché iniziava a sentire delle contrazioni.
Ci tiene a raccontarmi l’episodio perché in qualche modo si ricollega alla sua vita passata e futura. Mi dice che aveva sempre avuto la mania di creare delle miniature o al contrario delle statue enormi di donne incinte nude. Come un filo rosso la donna incinta ritorna sul suo cammino, in maniera reale e l’indomani, al test di ammissione, sarà un elemento importante.
Quella notte dorme tre ore e al mattino si presenta al test, dove presenta come progetto un “pettorale per partorienti” visto come metafora di uno scudo.
Il progetto attira l’attenzione degli esaminatori e Francesca viene accettata al corso, e per circa cinque mesi è impegnata in una vera e propria full immersion.
Vivere a fondo ogni momento
La capacità di Francesca è quella di vivere intensamente ogni occasione che le capita, sfruttandola a pieno, studiando e cercando di acquisire ogni nozione e imparare il più possibile.
La sua passione per lo studio riesplode prepotentemente e si innamora ancora una volta dell’ambiente scolastico. Ottiene anche stavolta ottimi risultati e si distingue nel suo corso di studi al punto che viene selezionata per poter andare a Milano alla Fondazione Pomodoro per poter affiancare il Maestro. Ha l’occasione di partecipare all’allestimento di una mostra presso la Fondazione e questa per lei è stata un’esperienza unica che le ha insegnato moltissimo riguardo alla preparazione e allestimento di una mostra, competenze che le torneranno utili in futuro.
Il ritorno a Brera
Nel 2015 dopo che la vita amorosa non va come sperava, prende una decisione: tornare a studiare a Brera per prendere una seconda laurea. Ha quarantasette anni, e i suoi compagni sono dei ventenni. Riesce a legare sia con i ragazzi che con i docenti quasi suoi coetanei con molta naturalezza, notando che, al contrario, tra i giovani mancava la voglia di fare gruppo.
Arriva il momento della preparazione della tesi e in quel momento si sente un po’ spaesata non sapendo cosa portare. Poi si rende conto che “la sua tesi era già pronta da anni”. Si emoziona nel dirmelo e dopo aver ripreso fiato un attimo mi racconta cosa intendesse dire.
Il documentario “Il sale della vita” di Sebastiao Salgado le apre gli occhi.
L’importanza dell’ambiente
L’ambiente, l’incanto della natura, ciò che ci circonda, sono i temi a lei più cari. Ricorda le sue origini in campagna, dove ciò che aveva sotto gli occhi tutti i giorni non destava più in lei curiosità, ma che ora ha capito quanto fosse importante.
Si rende conto che ciò che più desidera è far nascere delle sensazioni nelle persone e attivare gli organi di senso per far prendere consapevolezza di ciò che abbiamo intorno. Il suo desiderio è quello di coinvolgere il pubblico, vuole offrire qualcosa agli altri.
Trova così il senso della sua vita, del suo lavoro che non è per se stessa ma per gli altri.
“Se riesco a far capire qualcosa a una persona, se riesco a far sentire il profumo della terra e a destare in lei emozioni, ho raggiunto un ottimo risultato”.
Francesca
Da tre anni insegna in una scuola locale e ha la possibilità di lavorare con i ragazzi e conoscere una generazione ben diversa dalla sua. Ciò che ama dell’insegnamento è che le permette di conoscere i ragazzi e, lavorando con loro può renderli più consapevoli della realtà che hanno attorno.
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L’amore per l’insegnamento
Mi confessa che la scuola e il mondo dei ragazzi l’hanno coinvolta profondamente.
E’ fermamente convinta che ognuno di noi, nel proprio piccolo, possa fare tanto. Ed è per questo che si impegna molto a lavorare con i suoi ragazzi sull’ambiente.
I suoi studenti appartengono ad una generazione che viene bombardata da immagini prive di contenuti e ciò li porta a non sviluppare e allenare la loro fantasia. Tendono a distrarsi troppo facilmente a causa dei troppi stimoli che hanno attorno e la via per lei, per catturare la loro attenzione è quella di lavorare sulle emozioni. Questo le permette di far sentire loro le cose e destare il loro interesse e le permette di ovviare al fatto che la scuola di oggi, altamente burocratizzata, spesso priva gli insegnanti dello stimolo ad educare.
“Cos’è l’educazione se non entusiasmare i ragazzi alla vita, al proprio futuro, a conoscersi per comprendere la via da intraprendere nella costruzione di sé stessi?”
Francesca
“Ogni giorno quando entro a scuola il mio desiderio, il mio lavoro è quello di far provare loro emozioni, fossero anche negative, per far gridar loro che questa è vita, bellissima o tragica, ma vita. I ragazzi sono spesso apatici, privi di curiosità e voglia di agire, scarsamente empatici; penso che l’eredità che stiamo dando loro sia quella di un mondo uniformato, dove le peculiarità di ognuno hanno grande difficoltà a trovare spazio d’espressione. Ed è su questo che desidero lavorare, aiutarli a trovare e seguire le proprie passioni.”
Francesca
Ascoltare Francesca parlare della sua grande passione per l’insegnamento è davvero coinvolgente, così come quando le chiedo il suo pensiero sull’arte.
La sua visione dell’arte
Per lei l’arte è condivisione. Condivisione di quanto provato dall’artista nell’ideare e realizzare un’opera che non avrebbe alcun senso se non venisse fruita, quindi condivisa insieme a un pubblico.
“Al tempo stesso un’idea artistica, il progetto di un’installazione di grandi dimensioni può trarre vantaggio nella sua realizzazione da una collaborazione a più mani divenendo come un canto a più voci, ognuna con le proprie caratteristiche, il proprio timbro, ma tutte volte a realizzare l’idea primigenia. Dovrebbe essere come nell’esecuzione di una sinfonia, tutti gli strumenti si uniscono per giungere al risultato finale. Qui nessuno dovrebbe primeggiare se non il progetto iniziale.”
Francesca
“È l’idea, il concetto espresso L’OPERA, non le sue singole parti.”
Francesca
“Credo che nella società odierna dove tutto è spettacolarizzato anche l’artista si presti molto al gioco di diventare ‘soggetto artistico’ ancor più dei lavori che realizza. L’immagine di sé e dell’essere un creativo divengono il prodotto, spesso più dell’opera stessa, magari debole nei contenuti.”
Francesca
Ricordando la frase che le era stata detta dal docente a Brera sul ruolo della donna nell’arte, le chiedo come sia essere donna nel mercato dell’arte, al giorno d’oggi e se ha vissuto sulla sua pelle episodi di discriminazione.
“Mi sono resa conto negli anni che per la donna i tempi sono ancora difficili, in tutti i campi lavorativi. In quello dell’arte ci sono figure che sono assolutamente femminili, una cantante lirica, soprano o mezzo soprano non può che essere donna, un étoile della danza idem. Nelle arti visive credo la strada sia ancora lunga da percorrere, vedranno i risultati le generazioni future. Se poi non hai la fortuna di poterti dedicare solo all’arte, ma devi lavorare, sei considerata un’appassionata, una dilettante dell’arte.”
“Più volte si è presentata la situazione in cui, in quanto donna, mi sono sentita discriminata; per i soggetti proposti o per le idee ‘forti’, sentirsi dire: ‘Ha la forza di un lavoro fatto da un uomo’ non è un complimento… Tutt’altro.”
Francesca
Riguardo a Crema
Francesca ha conosciuto Crema proprio al momento dello sviluppo della movida cremasca grazie al fiorire di locali alternativi. Questi portavano a Crema gente da ogni dove, anche dalle grandi città come Milano, Bergamo, Brescia rendendola aperta alla socializzazione e agli scambi culturali. Una lunga stagione fortunatissima che ha in parte vissuto da vicino collaborando con Beppe Riboli e i suoi locali progettati fuori da qualsiasi schema allora conosciuto. Di quella stagione ora rimane ben poco, la città notturna si è pian piano spenta e con rammarico osserva:
“La città ora mi appare come una vecchia signora che vive del ricordo della bellezza passata, non sento più quel fervore, quella voglia di vita che la caratterizzava. La sento adagiata sugli antichi successi. Anche culturalmente è chiusa in circuiti che sento predefiniti, l’apertura che la caratterizzava è molto spenta. Le iniziative sono molteplici, a volte troppe, con il rischio di svilupparne relativamente i contenuti. La sento molto più concentrata sull’apparire che sull’essere.”
Francesca
Una nota dolente per Francesca, è la poca attenzione nei confronti del verde e dell’ambiente, tematica a lei molto cara.
Crema potrebbe essere un’oasi verde nel verde padano, essere integrata nel parco del Serio (spazi che ama infinitamente) è per lei una ricchezza, ma quello che nota è che sta perdendo questa occasione. Poco l’interesse per il verde mostrato ai vertici.
Francesca e la fotografia
Ciò che Francesca ama della fotografia è la capacità di emozionare, che solo un bravo artista fotografo può avere. Ed è questa caratteristica a rendere arte una fotografia, a dispetto di tutto il “chiacchiericcio di fondo” dato dalla quantità esorbitante di immagini che invadono la realtà, che non sanno comunicare un messaggio o veicolare un’emozione.
“Ammiro l’arte del fotografo che sa costruire l’immagine, attendere la luce giusta che scatena emozioni, esalta volumi e chiaroscuri. Per me una foto è la rappresentazione di un pensiero, anche quando si tratta di un reportage che deve ‘illustrare’ una determinata situazione. Il far vivere all’astante le sensazioni provate in quel momento dal fotografo è condivisione emotiva. Salgado sostiene che davanti allo stesso soggetto ogni fotografo ne darà una resa per immagini differente, anche se immortala dalla stessa posizione e nelle medesime condizioni. E’ questo che fa la differenza fra uno che scatta foto e un fotografo, l’unicità della sua visione.”
“Amo la fotografia, una forma d’arte ancora così giovane da non aver perso freschezza nei propri linguaggi espressivi. Per quanto la società dei consumi la adoperi per modellare illusori bisogni, la forza della fotografia va oltre, come le altre arti ‘disegna’ i mondi interiori dell’artista che la pratica.”
“Siamo ormai calati in un mondo dove il linguaggio delle immagini sembra si sia sostituito alle parole, dove l’importante è apparire, troppo spesso con deboli o inesistenti risultati.”
Davanti all’obbiettivo fotografico, mi confessa che la sua timidezza e la sua fragilità di essere umano trapela con forte evidenza. Si sente messa a nudo di fronte a una Francesca che spesso non riconosce. “Non sono io quella nella foto”, forse perché non riesce a parlare e raccontarsi con la sua fisicità che ancora non le appartiene nonostante tutta la vita condivisa.
Per partecipare al progetto “Donne di Crema”
Se sei di Crema (sei nata qui, ci hai vissuto per molti anni, e/o ci vivi tuttora) e ti va di raccontarmi qualcosa di te e un tuo pensiero su Crema, scrivimi un’email moni@monimix.com con una tua foto allegata.
Ti contatterò per inviarti tutti i dettagli.
Se il progetto “Donne di Crema” ti interessa, ne parlo più diffusamente in questo articolo
Ti riassumo qui le informazioni più immediate per capire di cosa si tratta.
Il progetto “Donne di Crema”
“Donne di Crema” vuole essere un progetto fotografico che mostri le donne di una piccola cittadina, ma che ha al suo interno tanti ottimi elementi, a livello lavorativo e personale.
Perché voglio raccontare le Donne di Crema mostrando il loro contributo nella società e la loro ricchezza a livello umano.
Saranno ritratti all’aperto, al naturale, così come la persona si presenta. Ogni donna che partecipa può scegliere il luogo in cui ambientare il suo ritratto. Unica regola deve essere di Crema (esserci nata, averci vissuto per molti anni, e/o viverci tutt’ora).
Far scegliere alla persona ritratta il luogo in cui scattare il suo ritratto è un modo per farla sentire ancora di più a suo agio.
Chiederò a ciascuna donna di raccontarmi la propria storia e se ha un pensiero legato a Crema. In questo modo potrò sia raccontare qualcosa delle partecipanti, sia ricostruire tramite loro, ciò che Crema rappresenta.
La sessione di ritratto dura un’ora, durante la quale ci conosceremo facendo quattro chiacchiere e poi realizzeremo il suo ritratto.
In questo caso, non è richiesto nessun contributo. Il ritratto è gratuito. In cambio chiedo l’autorizzazione a pubblicare il ritratto per il progetto, e per chi lo desidera, l’iscrizione alla lista di contatti a cui inviare la newsletter.
Se sei di Crema (ci sei nata, ci hai vissuto, e/o ci vivi tutt’ora) e se hai voglia di farti ritrarre, scrivimi: moni@monimix.com specificando “Donne di Crema”.
Se vuoi partecipare al progetto “Donne di Crema”, ma ti senti un po’ a disagio davanti alla fotocamera, ho scritto una breve guida per aiutarti a vivere più serenamente il momento degli scatti.
Per vedere i ritratti delle Donne di Crema che hanno già partecipato, puoi visitare questa pagina.
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2 pensieri riguardo “Donne di Crema: il ritratto di Francesca”