“Donne di Crema” si avvicina al prossimo traguardo che mi sono posta: arrivare a metà percorso per Dicembre (50 ritratti). La nuova situazione di lockdown, mi ferma nuovamente, ma i ritratti riprenderanno appena possibile con più energia di prima.
L’incontro
La luce meravigliosa di un pomeriggio autunnale di metà Ottobre fa da cornice all’incontro con Cristina. Arriva al nostro appuntamento insieme al marito e per me è un piacere scoprire due persone così profonde ed impegnate costantemente per tenere alta l’attenzione sulla disabilità, per far sì che le barriere architettoniche e mentali possano finalmente essere abbattute.
Il giorno del ritratto di Cristina
Cristina è una donna estremamente interessante, con cui è un piacere conversare e confrontarsi su varie tematiche tra cui quelle delicate della disabilità.
Il racconto della sua vita inizia quando a soli 18 mesi contrae la poliomielite, pochi mesi prima che s’incominciasse la sperimentazione umana del vaccino Sabin. Da quel momento la sua vita non sarà più la stessa.
Ha iniziato a camminare molto presto, intorno ai 10 mesi, come le ha raccontato sua madre, che era solita dirle “Hai iniziato presto e presto hai concluso di farlo”.
Trascorre l’infanzia con tutori ortopedici alle gambe che la sostengono, mi mostra delle foto dell’epoca di lei bambina con i tutori alle gambe. Erano molto fastidiosi e dolorosi, perché avevano delle chiusure che spesso capitava le pizzicassero la pelle al momento dello scatto della clip.
Non ha mai più camminato e, negli ultimi vent’anni per muoversi ha dovuto usare una sedia a rotelle. Avendo anche un braccio paralizzato non può essere indipendente negli spostamenti (se non con la carrozzina elettrica), perché con un braccio solo non può spingerla, né tanto meno fare spostamenti senza aiuto.
Ciò comporta il fatto che sia sempre accompagnata.
L’incontro con l’amore
Accanto a lei c’è suo marito, presente alla nostra chiacchierata, al suo fianco da quasi quarant’anni. Un colpo di fulmine il loro. Si conoscono per caso ad un incontro tenuto a Crema da don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Una vita insieme fatta di collaborazione oltre che di amore reciproco. Si vede, e si sente, subito la loro forte intesa e il profondo rispetto l’una nei confronti dell’altro.
Crescere con una disabilità
Le chiedo come sia stato crescere con una disabilità, se ha sentito su di sé delle disuguaglianze o se ha vissuto momenti di disagio. Mi confessa che ai tempi della scuola non si sentiva “diversa” dalle compagne, anche se al giorno d’oggi ripensando a quegli anni si rende conto che alcune situazioni, senza esser state fatte con cattiveria o malizia, potevano essere interpretate in maniera differente.
Mi cita un paio di esempi. Il primo riguarda le chiacchiere tra coetanei, quando si bisbigliavano le storie d’amore e lei non veniva coinvolta nei discorsi, ma li veniva a sapere in un secondo momento. Questo l’ha indotta a porsi delle domande, anche se molti anni dopo: forse perché disabile pensavano che a lei fossero precluse le storie d’amore? Ovviamente il suo è un ragionamento fatto oggi, da donna matura, senza porre malizia sui comportamenti dei suoi amici dell’epoca che forse ingenuamente facevano ragionamenti tipici di quell’età un po’ immatura o anche imbrigliati nei pregiudizi fortissimi a quei tempi.
Il secondo episodio invece riguarda le gite scolastiche Il suo rammarico è che non vi ha potuto prendere parte perché ai tempi non era data dalla scuola la possibilità di farlo.
Al giorno d’oggi conosce molti giovani in sedia a rotelle che viaggiano e si spostano per studio o lavoro, in maniera autonoma e questo le fa molto piacere, perché ai suoi tempi ciò non era proprio possibile.
Ai tempi della scuola, mi racconta che ha frequentato quelle che lei definisce le scuole “normali”, perché mi spiega che ai quei tempi esistevano ancora delle classi differenziali per gli studenti con disabilità.
La carriera scolastica e il lavoro
Dopo il diploma al Liceo Scientifico si iscrive all’Università Cattolica di Brescia alla Facoltà di Matematica. Consegue la laurea col massimo dei voti e condensando quattro anni in tre, perché dovendo farsi accompagnare ogni giorno da sua madre, le spiaceva molto pesare su di lei e quindi ha cercato di finire gli studi nel minor tempo possibile per arrecarle meno disagio possibile.
La scelta di iscriversi a Brescia, anziché a Milano, come aveva preventivato inizialmente, è stata dettata dal fatto che a Brescia aveva solo pochi gradini per entrare in Università, a differenza della lunga scalinata alla Facoltà milanese che per lei era un grosso problema.
Prima ancora di conseguire la laurea, inizia a lavorare in Banca, facendosi tutta la gavetta e per trent’anni quello è stato il suo posto di lavoro, fino alla pensione.
A circa ventiquattro anni, insieme ad un collega, si reca ad un incontro con don Oreste Benzi presso l’Istituto delle Suore Buon Pastore e qui incontra l’amore: quello che diventerà poi suo marito. Arrivano le nozze e da questa unione nasce la figlia, che oggi è un medico e che li ha resi nonni di due splendide bimbe.
Il sogno da bambina
Cristina mi racconta un episodio curioso della sua vita: a cinque anni aveva un sogno. Diventare medico nelle missioni in Africa, senza rendersi conto che per la sua condizione fisica, quel sogno le era precluso. Ogni tanto preparava una sporta dove metteva le sue cose più care e alla domanda della madre sul dove volesse andare, rispondeva convinta: in Africa!
Quando poi la figlia ha scelto di iscriversi alla facoltà di Medicina, senza che lei l’abbia in nessun modo influenzata, è stato per lei un motivo di orgoglio e felicità. Del suo sogno di bambina restava l’idea dell’Africa.
Avrebbe tanto voluto adottare un bambino africano ma nella sua condizione fisica non glielo avrebbero permesso. Ma alcuni anni fa, la vita le ha fatto scoprire un pezzo d’Africa in un giovane studente con la volontà di diventare sacerdote, che lei e il marito hanno deciso di sostenere nel perseguire il suo sogno. Un grande desiderio sarebbe il poterlo adottare più per rendere legale questo legame perché alla fine l’essere figlio comporta solo l’amore, che tra loro è forte e non ha necessità di carte bollate per alimentarsi.
Aiutare gli altri
Cristina non è una donna che sta con le mani in mano. Si è sempre tenuta impegnata e anche da quando è in pensione si dà un gran da fare per aiutare gli altri.
Da anni opera nel volontariato in “Anmic Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi Civili”, associazione storica che si occupa di disabilità a 360° dal 1956 e di cui è consigliera provinciale e responsabile provinciale per le barriere architettoniche.
Ha inoltre dato vita al Comitato “Crema Zero Barriere” attivo nel campo del superamento delle barriere: da quelle architettoniche/sensoriali/intellettive a quelle mentali/ culturali, che sono poi le più difficili da eliminare. Grazie anche al loro impegno è stato costituito presso il Comune l’Osservatorio Barriere Architettoniche “Crema città che include” ed è iniziato il cammino per la realizzazione a Crema del “Peba: Piano Abbattimento delle Barriere Architettoniche”.
Il problema delle barriere architettoniche e mentali
Affrontiamo a lungo il problema delle barriere architettoniche, oltre che di quelle mentali, ben più radicate e difficili da sradicare. Mi racconta che durante una manifestazione organizzata per sensibilizzare la cittadinanza al problema delle barriere architettoniche in città, erano presenti circa 400 bambini.
Con grande entusiasmo hanno sposato l’iniziativa, divertendosi a provare le sedie a rotelle messe a disposizione, senza alcun tipo di pregiudizio o paure. Solo una bambina si è mostrata reticente nel sedersi su una sedia a rotelle. Con tutta la sua sensibilità, Cristina, l’ha avvicinata e le ha chiesto come mai non le andasse, scoprendo che il suo disagio era dettato dal fatto che il nonno non voleva usarla perché si sentiva in imbarazzo.
Questa risposta è stata molto illuminante per lei, per capire come gli adulti con le loro idee e, a volte preconcetti, possano influenzare i bambini, che per natura nascono liberi da pregiudizi e aperti a tutto ciò che si presenta loro davanti.
La situazione a Crema
Il discorso delle barriere architettoniche è un tema molto importante su cui non bisogna mai far cadere l’attenzione. Le chiedo come sia la situazione a Crema, perché a parte alcune strade palesemente dissestate è utile capire come viva la quotidianità degli spostamenti locali, chi è costretto su una sedia a rotelle.
Me ne parla con piglio fermo ma non polemico. Si rende conto che Crema è una città storica e che molti interventi non siano possibili per abbattere le barriere architettoniche. Ben diverso quando l’argomento si sposta sulle nuove costruzioni. Lì si potrebbe prestare molta più attenzione alle leggi e alle normative, ma troppo spesso chi progetta non si rende realmente conto delle difficoltà che certe scelte fatte per estetica o anche solo comodità, possano comportare a chi è su una sedia a rotelle.
“A volte basterebbe davvero poco per agevolarci, ma purtroppo chi non è su una sedia a rotelle non capisce realmente le nostre esigenze e poi una città senza barriere è una città più comoda per tutti”
Cristina
Ritiene molto importante parlare della tematica della disabilità nel quotidiano perché i media si occupano sempre di casi eclatanti come per esempio lo sportivo disabile che eccelle nello sport, o del caso drammatico per creare un servizio strappalacrime per colpire il pubblico.
“Ciò di cui non si parla è la quotidianità di una persona con disabilità. E’ proprio questo di cui invece bisognerebbe occuparsi. Come vive un disabile ogni giorno? Come affronta la vita? Che esigenze ha? Che problematiche incontra?”
Cristina
Le vacanze per una persona disabile
Aldilà delle strade dissestate ci sono ben altre questioni che complicano di molto la vita di una persona disabile. Un esempio è quello legato ad un momento che dovrebbe essere di svago e relax: le vacanze. Per tutti sinonimo di piacere, per chi come lei è su una sedia a rotelle la situazione è ben più stressante da organizzare.
Prima di prenotare, lei e il marito, devono contattare la struttura in cui vogliono recarsi e far presente la sua condizione. Chiedere se l’albergo ha un ascensore, che dimensione ha (non tutte sono sufficientemente larghe per l’ingresso di una sedia a rotelle), se il bagno in camera ha i sanitari per i disabili, che dimensioni ha la stanza.
Domande che una persona non disabile non si porrebbe mai, ma che per lei è la prassi. Le è già successo in passato di arrivare in un albergo e ritrovarsi senza ascensore (nonostante le fosse stato detto che era presente) o che la porta del bagno non fosse abbastanza larga per passare con la carrozzina o non fosse attrezzato con i giusti sanitari.
Le difficoltà nel quotidiano
Lo stesso problema lo incontra quando ha bisogno dei servizi igienici ed è fuori casa. Molto spesso i servizi igienici nei bar (se presenti quelli per disabili) non sono predisposti per accogliere una sedia a rotelle per problemi di dimensioni, altre volte sono usati da tutti gli avventori del bar e lasciati in condizioni oscene che le impediscono di poterli utilizzare.
Troppo spesso non ci si preoccupa degli altri, ma come giustamente Cristina mi fa presente senza alcuna polemica, è che chi non è disabile, dà per scontate cose che per chi è su una sedia a rotelle, scontato non sono. Così come l’esigenza basilare di poter usufruire di un bagno, o di poter passare da una porta o di prendere l’ascensore per superare le scale.
Ma anche per le strade spesso vengono fatte scelte che arrecano problemi a chi è costretto a muoversi con la sedia a rotelle. Una pavimentazione fatta più l’estetica che per la praticità, può essere un problema per lei, e ciò che la infastidisce è che in casi come quello non vi sia una motivazione che vada oltre un discorso estetico e quindi senza una motivazione reale.
Sarebbe molto bello se leggendo la sua storia, ci si fermasse ad osservare la nostra cittadina con gli occhi di Cristina, per notare tutto ciò che si potrebbe migliorare per agevolare le persone disabili negli spostamenti, per evitare di creare loro problemi che si sarebbero potuti evitare. Perché come dice lei:
“Se ci si muove insieme si farà più strada e si otterrà di più!”
Cristina
Voglio concludere la storia di Cristina citando un’altra sua asserzione che riassume il succo del suo pensiero e credo che valga più di tutto:
“L’uguaglianza è essere diversi, ma trattarci come se fossimo tutti uguali con gli stessi diritti”
Cristina
Il pensiero di Cristina riguardo a Crema
Crema è la sua città. Ha un’immagine molto poetica di questo luogo. Di Crema le piacciono i ritmi come rallentati, il silenzio delle sue giornate nella pigra calura estiva interrotto dal cinguettio degli uccelli, dal ronzio delle mosche o dal fruscio del vento o, ancora, i rumori ovattati dalla neve, il profumo dei camini che aleggia nella nebbia autunnale.
Per il suo ritratto ha scelto un posto molto affascinante, alle porte di Crema: la Basilica di Santa Maria della Croce, il luogo in cui si è sposata e attorno a cui si è sviluppata una parte importante della sua vita.
Cristina e la fotografia
Cristina ama molto fotografare, e durante la nostra chiacchierata mi mostra un sacco di fotografie. Di quando lei era bambina per poi arrivare alle foto dei suoi figli e delle sue nipotine. Per lei la fotografia è importante per la capacità di testimoniare il presente vissuto e di fissarlo per sempre nella memoria.
Per partecipare al progetto “Donne di Crema”
Se sei di Crema (sei nata qui, ci hai vissuto per molti anni, e/o ci vivi tuttora) e ti va di raccontarmi qualcosa di te e un tuo pensiero su Crema, scrivimi un’email moni@monimix.com con una tua foto allegata.
Ti contatterò per inviarti tutti i dettagli.
Se il progetto “Donne di Crema” ti interessa, ne parlo più diffusamente in questo articolo
Ti riassumo qui le informazioni più immediate per capire di cosa si tratta.
Il progetto “Donne di Crema”
“Donne di Crema” vuole essere un progetto fotografico che mostri le donne di una piccola cittadina, ma che ha al suo interno tanti ottimi elementi, a livello lavorativo e personale.
Perché voglio raccontare le Donne di Crema mostrando il loro contributo nella società e la loro ricchezza a livello umano.
Saranno quindi ritratti all’aperto, al naturale, così come la persona si presenta. Ogni donna che partecipa può scegliere lei stessa il luogo in cui ambientare il suo ritratto. Unica regola deve essere di Crema (esserci nata e averci vissuto per molti anni, e/o viverci tutt’ora).
Far scegliere alla persona ritratta il luogo in cui scattare il suo ritratto è un modo per farla sentire ancora di più a suo agio.
Chiederò a ciascuna donna di raccontarmi la propria storia e se ha un pensiero legato a Crema. In questo modo potrò sia raccontare qualcosa delle partecipanti, sia ricostruire tramite loro, ciò che Crema rappresenta.
La sessione di ritratto dura un’ora, durante la quale ci conosceremo facendo quattro chiacchiere e poi realizzeremo il suo ritratto.
In questo caso, non è richiesto nessun contributo. Il ritratto è gratuito. In cambio chiedo però l’autorizzazione a pubblicare il ritratto per il progetto, e per chi lo desidera, l’iscrizione alla lista di contatti a cui inviare la newsletter.
Se sei di Crema (ci sei nata e hai vissuto qui molti anni, e/o ci vivi tutt’ora) e se hai voglia di farti ritrarre, scrivimi un’email: moni@monimix.com specificando “Donne di Crema”.
Se vuoi partecipare al progetto “Donne di Crema”, ma ti senti un po’ a disagio davanti alla fotocamera, ho scritto una breve guida per aiutarti a vivere più serenamente il momento degli scatti.
Prima di andare, ti chiedo un’ultima cortesia. Se l’articolo ti è piaciuto, lasciami un tuo like o un commento, oppure condividilo, mi farebbe molto piacere! Grazie!
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