Ritratti autentici: farsi fotografare quando non ci si sente al meglio
Come trasformare la paura e la vulnerabilità in uno spazio di ascolto e verità davanti all’obiettivo.
Quando la fotografia diventa uno specchio dell’anima
Ci sono momenti in cui la voglia di mostrarsi lascia spazio al bisogno di ascoltarsi.
Non sempre ci sentiamo “al meglio” e, proprio in quei periodi, evitiamo la macchina fotografica: come se potesse svelare troppo.
Eppure, è proprio allora che un ritratto può diventare uno strumento potente — un modo per vedersi davvero, accogliendo ciò che si è, senza filtri.
Una frase che mi ha risuonato dentro
Una counselor mi ha raccontato di una paziente che le aveva detto:
“Non riesco a farmi fotografare, perché non voglio vedere che non sto bene.”
Quella frase mi è rimasta addosso.
Mi ha fatto pensare a quante volte, dietro un “non mi piace farmi fotografare”, si nasconda qualcosa di più profondo del semplice “non mi piaccio”.
A volte non è una questione estetica, ma emotiva: non vogliamo vederci, perché sappiamo che quello che vedremmo non ci piacerebbe — la stanchezza, la preoccupazione, la delusione, il vuoto.
In certi periodi, anche un ritratto può sembrare uno specchio troppo onesto.
Il mio periodo grigio
Forse mi ha colpita così tanto perché anch’io sto vivendo un periodo che definirei grigio:
non nero, ma pesante, senza slanci.
Mi sento appesantita, probabilmente dallo stress degli ultimi anni.
Cerco di reagire, di guardare alle cose belle, ma a volte non basta.
Ascolto me stessa, e ciò che sento — a volte — è il vuoto.
Un’immobilità che mi ancora a terra, una stanchezza che si riflette anche nel corpo.
Per questo capisco chi non vuole mostrarsi quando non sta bene.
Scegliere di mostrarsi comunque
Eppure, qualche giorno fa, ho deciso di farlo.
Mi sono messa davanti alla fotocamera, senza filtri.
Ho fotografato la mia stanchezza, gli occhi spenti, le occhiaie scure.
Mi vedo bella? No.
Ma quella foto ha un senso: è la testimonianza di un momento difficile, e della mia scelta di fermarmi e ascoltarmi.
Non è un ritratto “bello” o “valorizzante”, ma trova forza nella sua autenticità.
L’autenticità come scelta
Ho pensato a un racconto di Vasco Rossi, quando da ragazzo scrisse un tema libero raccontando come si sentiva: spiazzato e svuotato.
Il suo professore lo lesse davanti a tutti perché era autentico.
E da quel momento Vasco scelse di continuare a esserlo, sempre.
Anch’io oggi scelgo questo: essere autentica.
Prima di essere fotografa, sono una persona che conosce la stanchezza e le incertezze.
So quanto sia difficile mostrarsi quando non ci si sente “presentabili”.
Ma credo che siano proprio quei segni — occhiaie, rughe, sguardi spenti — a renderci umani e veri.
Il ritratto come incontro
La fotografia, in questi momenti, deve imparare a rallentare.
A farsi spazio di ascolto, non di performance.
Spesso chi arriva davanti all’obiettivo porta un sorriso di circostanza e un piccolo tremolio negli occhi che dice: “Non so se ce la faccio.”
E allora non scatto subito.
Si parla, si respira, si costruisce fiducia.
Perché il ritratto non è una prova da superare, ma un incontro.
E per potersi mostrare, bisogna prima sentirsi accolti.
Consigli per chi vuole fotografarsi nei momenti difficili
Se stai attraversando un periodo “grigio” e l’idea di una foto ti spaventa, prova così:
Non forzarti a sorridere: parti da come ti senti davvero.
Scegli un fotografo con cui ti senti in sintonia, più empatico che tecnico.
Parla prima dello scatto: racconta come stai e cosa temi.
Guarda le foto con gentilezza, senza giudizio.
Non pensare al risultato, ma al processo: l’obiettivo non è “uscire bene”, ma esserci.
A volte la fotografia non deve mostrare la luce, ma accogliere le ombre.
E proprio quando non stiamo bene, una foto può diventare un atto di coraggio: il gesto di chi sceglie di guardarsi, nonostante tutto.
L’autenticità come forma di bellezza
Ed è questo, in fondo, il cuore dei miei Ritratti in Ascolto:
un tempo sospeso in cui non si deve “venire bene”, ma solo esserci.
Dove l’obiettivo diventa uno strumento di ascolto e la fotografia un modo per ritrovarsi.
Un piccolo spazio di verità, dove possiamo finalmente guardarci — non per giudicarci, ma per riconoscerci.
Ti va di raccontarmi la tua esperienza?
Hai mai scelto di farti fotografare in un periodo in cui non ti sentivi al meglio?
Scrivimi nei commenti o in privato: mi piacerebbe ascoltarti.