Estate. Ritmo lento, caldo afoso, ventilatore acceso per rinfrescare le idee.
Giugno è arrivato come un tornado, con un caldo anomalo dopo un maggio fresco e piovoso. È il mese in cui finisce la scuola e, almeno sulla carta, tutto dovrebbe rallentare un po’.
Per me è stato un mese pieno.
La prima cosa che mi viene in mente è la conclusione di un laboratorio di fotografia organizzato con Riccardo, un mio ex compagno di liceo (anche lui fotografo) per un piccolo gruppo di bambini di dieci anni nello spettro dell’autismo.
Un’esperienza intensa, che mi ha dato molto in termini di curiosità, soddisfazione e crescita personale e professionale.
Un lavoro quotidiano di ascolto e confronto con le educatrici, per capire l’approccio giusto, come trasmettere la fotografia senza perderli per strada.
E alla fine, una mostra. Una piccola esposizione in cui i bambini hanno potuto raccontare le loro foto ai genitori. I sorrisi, l’orgoglio, la sorpresa.
È stato uno di quei momenti che ti si incolla addosso e resta.
Giugno è stato anche il mese in cui ho rimesso piede nel mondo della fotografia di matrimonio.
Negli ultimi anni avevo lasciato un po’ da parte quel tipo di lavori, ma quando Jennifer mi ha scritto per chiedermi di fotografare il suo rito civile con Mario… ho sentito che dovevo accettare.
Jennifer l’avevo conosciuta anni fa grazie al progetto “Donne di Crema”.
Giovane, determinata, con alle spalle un vissuto tosto. Ricordo ancora il suo ritratto, il sorriso che le è sbocciato sul volto quando le ho chiesto di pensare a qualcosa che la rendesse felice. Allora sognava di diventare psicologa.
Ora quel sogno l’ha realizzato. E mentre mi raccontava del matrimonio, sedute ad un tavolino di un bar, c’era di nuovo quel sorriso autentico e luminoso.
Mi ha detto che non aveva avuto dubbi: voleva me come fotografa. Perché si ricordava come l’avevo fatta sentire durante quel primo ritratto.
E così, una calda mattina di metà giugno, ero al Comune a raccontare in immagini la loro unione.
Un rientro soft, solo qualche ora: il rito, le foto di coppia, gli amici, i parenti.
Devo ammetterlo, è questa la parte dei matrimoni che preferisco. Quella vera. Non le maratone da dodici ore che raccontano tutto e niente.
Amo fotografare i momenti salienti, quelli che restano.
Sfogliando l’album dei miei genitori (1975) mi colpisce quanto fosse tutto più essenziale e potente. Nessun eccesso, solo ciò che conta.
Forse è tempo di tornare anche in fotografia a quell’essenzialità.
Giugno è stato anche il mese della ripresa di un progetto a cui tengo molto: “Ritratti in ascolto”.
È ripartito con calma. E ho deciso di non avere fretta.
Niente pubblicazioni immediate, niente ansia da “contenuto da condividere”.
Sento il bisogno di un tempo più lento, più intimo.
Come quando si lasciava maturare un progetto senza sbandierarlo.
È un modo diverso di lavorare, e sono curiosa di vedere dove mi porterà.
Infine, un’altra esperienza bella.
Grazie a Raffaella (anche lei conosciuta durante “Donne di Crema”) ho realizzato un servizio fotografico che parlava di amicizia.
Era da tempo che desiderava fare qualche scatto con il suo gruppo di amiche, ma non era mai successo.
Quest’anno, due di loro hanno compiuto cinquant’anni e l’occasione è diventata quella giusta per ritrovarsi.
Le ho viste parlare, ridere, raccontarsi. Sei donne che, tra mille impegni, sono rimaste unite.
Un legame raro.
E ora hanno delle immagini che fermano per sempre un momento leggero e profondo insieme, al tramonto in un parco cittadino.
Amo il mio lavoro anche per questo.
Perché dietro ogni foto ci sono legami, vite che si intrecciano, storie che mi lasciano qualcosa.
Giugno è stata la dimostrazione che, nella piccola realtà di provincia, i legami umani restano la cosa più importante. E che il passaparola funziona ancora meglio dei social.